Caro direttore,
sarebbe troppo facile per me, e per chiunque abbia a cuore le sorti della Sicilia, stilare oggi un elenco dei danni provocati da Raffaele Lombardo e dai suoi quattro governi. Sarebbe troppo facile rinfacciargli la slealtà con la quale, dopo avere vinto con noi del Pdl le elezioni regionali, ha ritenuto di dovere ribaltare il tavolo delle alleanze e di farsi una maggioranza con il Pd, partito che da quelle elezioni era uscito invece sconfitto. Sarebbe altrettanto facile formulare il catalogo degli scandali esplosi durante la sua gestione o richiamare ogni gesto, ogni atto del Governatore proteso più verso l’acquisizione di clientele che non verso la creazione di strumenti idonei per il riscatto e la crescita di questa nostra amatissima terra. Ma a che servirebbe? La Sicilia, in questo drammatico momento di crisi economica e politica, non ha bisogno né di demonizzazioni né di criminalizzazioni né di vittime sacrificali offerte con sangue freddo al disprezzo dell’opinione pubblica. C’è bisogno, semmai, di un’analisi attenta, e soprattutto onesta, su ciò che resta dell’esperienza che Raffaele Lombardo si appresta a chiudere anticipatamente, sempre che le sue premesse abbiano da qui al 28 luglio un puntuale riscontro nella realtà.
Ma l’analisi, per essere seria, deve essere sgombra da ogni ipocrisia. E invece, ora che si avvicina la nuova sfida elettorale, ci tocca assistere a un’operazione di trasformismo talmente spietata che, paradossalmente, potrebbe spingerci a dire che Lombardo forse non era il peggiore della compagnia. Certo, è stato magistrale nell’amministrare incarichi e consulenze; è stato imbattibile nell’occupazione di tutte le poltrone disponibili; è stato abilissimo nello spacciare per tecnici uomini che poi ha trasformato in militanti di partito. Ma con altrettanta franchezza bisogna riconoscere che tutte le mistificazioni, di cui il governo si è nutrito fino all’altro ieri, erano approvate e sottoscritte da tutti i partiti che lo hanno sostenuto e spremuto senza limite e senza pudore.
Oggi quegli stessi partiti – con in testa il Pd – vorrebbero far credere che, ai tempi in cui governavano con Lombardo, si trovavano chissà in quale altro angolo del pianeta. E, come se nulla fosse, parlano e straparlano di sfiducia, come se la politica di accaparramento in questi lunghi anni l’avesse fatta solo Lombardo, come se la responsabilità per la perdita dei fondi comunitari fosse solo ed esclusivamente del Presidente della Regione, come se le macerie dalle quali bisognerà ripartire per dare un futuro dignitoso alla Sicilia fossero da imputare ad uno sconosciuto che transitava per caso da palazzo d’Orleans. Sta qui la distanza che separa Lombardo da chi, per un cinico calcolo elettorale, tenta ora di rinnegarlo. Per carità, chiunque, soprattutto in politica, ha il diritto di cambiare idea, di modificare le proprie opinioni, di aggiornare obiettivi e strategie. Ma l’azzardata giravolta di Pd e dei suoi seguaci somiglia tanto ad un repentino cambio di maschera e di casacca per apparire quel che non si è, per ricostruire una verginità perduta, per ingannare i siciliani.
Ci riflettano le altre forze politiche. Ci riflettano, in primo luogo, le forze moderate, da qualunque parte provengano. Ci rifletta in particolar modo l’Udc: un partito, che pure avrebbe uomini e progetti con i quali intessere un discorso nuovo, non può in questa fase estremamente delicata perdersi tra le braccia di un Pd doppiogiochista e perciò stesso privo di qualsiasi credibilità. La Sicilia ha bisogno, come non mai, di competenze e di trasparenza. E soprattutto di confini netti: di là il centrosinistra con le sue confusioni, le sue contraddizioni, e con il malgoverno di questi anni; di qua il centrodestra con le sue difficoltà, e magari con i suoi errori, ma anche con la possibilità enorme, se coeso e senza fughe in avanti di singoli soggetti, di avviare una rigenerazione della politica senza riserve e senza pregiudizi.