PALERMO- Le rivelazioni del pentito Spatuzza sulla provenienza da residuati bellici inesplosi del tritolo usato nelle stragi mafiose del 1992 mi ha fatto ripensare al pesantissimo tributo di sangue che Palermo pagò durante la II Guerra Mondiale. Al di là dei dubbi sulla tempistica del pentimento e sulle doti di provetto artificiere di un pescatore di Santa Flavia, va ricordato che Palermo è una delle poche città al mondo, se non l’unica, ad aver subito bombardamenti delle aviazioni di quattro paesi diversi: Francia, Gran Bretagna, Germania e, dulcis in fundo, Stati Uniti d’America. Passeggiando per la città, capita di tanto in tanto di imbattersi in quelle frecce azzurre sbiadite con la scritta bianca “ricovero” che mi rinnovano l’angoscia che provavo da bambino ascoltando i racconti dei miei vecchi sulla vita a Palermo in quegli anni. La fame, l’oscuramento, le sirene, la fuga verso quei rifugi arrangiati alla bell’e meglio, i boati sempre più vicini con le sinistre vibrazioni dei crolli.
E poi, alla fine dell’incubo, l’uscita da quei cunicoli puzzolenti di muffa e di paura con il sospiro di sollievo mozzato in gola dalla polvere e dal fumo degli incendi. E quelle domande, sempre le stesse: “Cosa è rimasto della mia casa ?” e “Quando torneranno ?”. Chi volesse immergersi per un solo attimo in quell’atmosfera può farlo visitando, come ho fatto qualche settimana fa, lo splendido Museo dello Sbarco Alleato in Sicilia allestito presso il centro “Le Ciminiere” di Catania.
A proposito della città etnea, nel tragico Derby della distruzione, Catania batte Palermo per 87 (bombardamenti) a 69. Tuttavia, Palermo vince il confronto in termini di vittime civili e danni al patrimonio edilizio. E questo per l’uso della tecnica “a tappeto” nei bombardamenti americani (preponderanti a Palermo) che non risparmiavano obiettivi di nullo valore militare ma che erano efficacissimi nel minare il morale della popolazione. I due bombardamenti che resteranno scolpiti in eterno nella storia della nostra città avvennero a distanza di tre settimane. Il 18 aprile 1943, Domenica delle Palme, una bomba americana, mancando di pochi metri l’abside della Cattedrale, stuprò il rifugio di Piazza Sett’Angeli provocando la morte di centinaia di donne, vecchi e bambini. Si narra che i morti furono talmente tanti e la devastazione del rifugio così completa che si decise, per paura di epidemie, di murare in quel sacrario la maggioranza dei cadaveri.
Tre settimane dopo, il 9 maggio 1943, fu forse la giornata più nera nella millenaria storia di Palermo. E sì che di giornate nere Palermo ne ha vissute tante. Era una bella domenica di sole. Intorno a mezzogiorno, mentre a Palazzo delle Aquile si teneva una grottesca celebrazione dell’anniversario della fondazione dell’Impero, si scatenò un inferno che durò, a ondate successive, fino a sera. Gli archivi americani narrano che all’incursione parteciparono 211 bombardieri e 150 caccia che sganciarono, in un solo giorno, 2.000 bombe delle 11.000 piovute su Palermo in tutto il conflitto. Secondo alcune fonti, i morti furono 3.000 (più o meno come negli attentati alle Torri Gemelle) e i feriti alcune migliaia. Danni incalcolabili furono inferti al patrimonio abitativo e artistico. Tra i monumenti colpiti: la Basilica della Magione, la Chiesa di Santa Maria della Catena alla Cala, la sede dell’Università in Via Maqueda, l’Oratorio della Compagnia di S. Francesco di Paola di via Candelai, la Chiesa del Gesù o Casa Professa, quella delle Vergini di via Castellana, quella della Madonna delle Grazie di Piazza Ponticello, quella di S. Giovanni in via S. Agata alla Guilla, quella di Sant’Eligio degli Argentieri alla Vucciria, la Basilica di San Francesco d’Assisi, la Biblioteca Nazionale.
Dopo la liberazione, il 40% del patrimonio edilizio di Palermo era distrutto o gravemente danneggiato e la AMGOT (Allied Military Government of Occupied Territories) decise di sbarazzarsi delle rovine riversandole nel mare prospiciente il Foro Italico. E fu così che anche il mare s’arrese arretrando di molti metri, come si può notare osservando la posizione della riva in certe foto antiche della Marina. Il prato verde su cui oggi scorazzano i ragazzi e dove Benedetto XVI celebrò la Messa il 3 ottobre 2010 è ciò che resta di quelle macerie intrise del sangue di tanti palermitani. Assistendo in tv a quello storico evento, trovai molto spiacevole il fatto che nessuna delle altissime Autorità presenti trovasse il modo, calpestando quel sacro suolo posticcio, di rivolgere anche un solo pensiero alle migliaia di vittime civili della guerra a Palermo.
Oggi, dopo quasi settanta anni, apprendiamo che il tritolo alleato fu riciclato da mani siciliane per infliggere nuove gravissime ferite al cuore della nostra città. Come se le cedole dell’obbligazione di morte celate nel ventre di quegli ordigni sbandati fossero infine giunte a maturazione. Il dolore di Palermo che si rinnova nel segno dell’umana bestialità. La guerra del tempo di guerra che copula con la guerra del tempo di pace per dar vita alla morte.