La mafia ai tempi della crisi | Boss senza soldi, ma griffati - Live Sicilia

La mafia ai tempi della crisi | Boss senza soldi, ma griffati

Al processo scaturito dall'operazione Hybris, la pentita Monica Vitale parla del suo ruolo di estorsore e del pizzo imposto "in natura" a una sfilza di negozianti palermitani. E rivela: “Se vedevamo l'adesivo di Addiopizzo non entravamo”.

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Luigi Abbate

PALERMO – Storia della vita di una donna all’interno del clan. E’ andata in onda oggi, in videoconferenza, al Tribunale di Palermo, la testimonianza di Monica Vitale, con il cliché a cui la mafia ci ha ormai abituato, ma con quel tocco rosa che manda in frantumi i tabù di Cosa nostra. Di fronte ai giudici della terza sezione penale, presieduti da Vincenzina Massa, la Vitale ha ripercorso la sua storia, dai furti negli appartamenti, alle truffe al Monte dei pegni fino a quell’incarico di estorsore e alla decisione di compiere la “scelta difficile” di collaborare quando ancora non era neanche indagata. E rivela: “Se vedevamo l’adesivo di Addiopizzo non entravamo”.

Al processo con rito ordinario scaturito dall’operazione Hybris del luglio 2011, Monica Vitale confessa: “Sì, mi occupavo del pizzo dei gioiellieri di via Calvi”. Un compito che le sarebbe stato assegnato da Nino Abbate (nella foto), presunto capo della famiglia di Borgo Vecchio, dopo l’arresto di Gaspare Parisi: “L’ho incontrato in un bar in via Calvi, mi ha detto ‘ora comando io’” racconta la collaboratrice che per due volte avrebbe ricevuto 800 euro come mensile proprio “da Nino Abbate: una volta al Bristol, un’altra in un albergo a San Lorenzo. Dopo l’arresto di Lo Presti – continua la Vitale – ha avuto timore e si è andato a chiudere in un albergo a San Lorenzo”. Dopo il suo, effettivo, arresto “ho a che fare col ‘mitra’ (Luigi Abbate, ndr)” dice la Vitale.

Alcuni esercizi avrebbero pagato il pizzo in “natura”. “Io andavo, mangiavo, e poi me ne andavo. ‘Tutto a posto’ mi rispondevano quando era ora di pagare il conto”, racconta la pentita. Questo avveniva “al Byblos, a pranzo, e anche al Felix e alla caffetteria Gian Flò che poi mi risultava pagare anche il pizzo”. Ma non c’era solo il vitto da pagare alla cosca, “andavano anche nei negozi d’abbigliamento ‘D’Angelo’, in piazza Leoni e vicino via Dante”. Ma le più gettonate erano le scarpe ‘Hogan’ che i membri del clan avrebbero ottenuto a titolo di pizzo da un negozio del centro di Palermo. Alle dichiarazioni su D’Angelo non stati trovati i riscontri necessari e per il titolare la stessa Procura, nei mesi scorsi, ha chiesto l’archiviazione.

Ma c’erano alcune eccezioni nella mappa del racket delle estorsioni. “Sapevo che c’era una torrefazione contro il pizzo a Borgo Vecchio” spiega la pentita, rispondendo alla domanda di uno dei legali di parte civile, Valerio D’Antoni. “Perché questi dell’Addiopizzo mostrano un foglio (intendendo una vetrofania, ndr) sapevamo chi era l’Addiopizzo… era da stupidi entrare lì, perché c’erano telecamere e ci avrebbero intercettato”.

Monica Vitale parla anche della sua relazione sentimentale con Gaspare Parisi, un amore impossibile. Sua sorella, infatti, intrattiene una relazione con un pentito, Angelo Casano della famiglia di corso Calatafimi, che ha deciso di collaborare anche per ragioni sentimentali. “Di Giovanni e Abbate lo sapevano” spiega Monica Vitale e, dunque, non avrebbero mai approvato quella relazione. Un divieto, quello di avere l’amante, che, secondo quanto racconta la pentita, è solo un falso mito: “Come la regola della coca (l’uso di droghe, ndr)… loro la usano, così anche avere gli amanti, oggi come oggi, l’hanno tutti”.

E c’è anche un retroscena nella testimonianza della donna. Dopo gli arresti dell’operazione Hybris, del luglio 2011, “mi manda a chiamare la mamma di Nunzio La Torre” racconta Monica Vitale che alla donna propone di far finta che lei sia la  convivente di La Torre per potere, così, avere un colloquio in carcere. La Vitale, infatti, voleva “salvare” Parisi: “Mi mandava lettere, dicendomi di aspettarlo, che era pronto a fare cazzate”. Quindi, dice la Vitale, “io vado da La Torre perché faccia sapere a Tommaso Di Giovanni (indicatche non era vero”. Bisognava far sapere al nuovo capo che con Parisi non c’era alcuna relazione, perché “se lo sapevano (intendendo i capi, ndr) non lo campavano più”. E, a questo punto, nasce anche un equivoco, perché anche Nunzio La Torre comincia a scriverle: “Mandava lettere sentimentali – narra la pentita – gli ho chiesto di non scrivermi più. Mi ero interessata per lui, per portargli vestiti, cibo. Sono anche andata al municipio con la sorella per firmare il figlio di convivenza ma – conclude la Vitale – provavo ancora qualcosa per Parisi, allora ho abbandonato tutto”.


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