La mafia, i terreni, i Fondi Ue | Da Antoci al "caso Troina" - Live Sicilia

La mafia, i terreni, i Fondi Ue | Da Antoci al “caso Troina”

Uno scorcio del Parco dei Nebrodi

Le ombre sull'agguato al presidente del Parco dei Nebrodi (nella foto uno scorcio). Nell'Ennese sindaco sotto scorta.

Criminalità e Regione
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PALERMO – Basta un terreno gestito dalla Regione o dal Comune, preso in affitto spesso con canoni irrisori, ma utile ad attrarre milioni di euro di Fondi europei. E il gioco è semplice. Oltre a essere molto redditizio. Così, negli anni, famiglie spesso legate o vicine a Cosa nostra hanno finito per mettere le mani su “pezzi” di suolo pubblico dal quale far scaturire la sorgente del contributo europeo. Contributi che presto torneranno a piovere sulla Sicilia, col nuovo Piano di sviluppo rurale 2014-2020, da oltre 2,2 miliardi di euro.

Storie, quelle degli interessi criminali su terreni e fondi Ue, finite, oltre che nelle inchieste giornalistiche, in passato anche in Parlamento. Anche in quello europeo, da dove il deputato grillino Ignazio Corrao, già mesi fa, aveva avvertito sul rischio che “i fondi europei dell’agricoltura fossero finiti anche in mano alla mafia”. “Per accaparrarsi i fondi – ha spiegato Corrao – la mafia truffa, usa la violenza, intimidisce. Gli agricoltori sono costretti con la forza a cedere i terreni. E’ una situazione insostenibile, soprattutto se si considera che tutti i terreni sequestrati alla mafia hanno percepito i fondi della Pac per il sostegno al reddito”.

Il deputato di Sinistra Italiana Erasmo Palazzotto, invece, alla Camera ha illustrato nel dettaglio in una interrogazione il meccanismo: “I controlli antimafia e la conseguente certificazione al fine di vedersi riconosciuto il contributo comunitario, – scrive ad esempio – sono obbligatori per cifre superiori ai 150 mila euro, in sostanza tutto ciò che è sotto tale soglia sfugge al controllo di legalità e, nel corso degli anni, questa norma ha favorito gli interessi mafiosi nel settore agricolo”. Per farla breve, la criminalità sarebbe riuscita negli anni a farsi assegnare terreni, frammentandone l’estensione, al fine di rimanere “al di sotto” dell’asticella che costringe alla presentazione della certificazione antimafia. E Giuseppe Antoci, finito nel mirino della criminalità la scorsa notte, avrebbe provato a rompere il giocattolo proprio lì, chiedendo, appoggiato dal prefetto di Messina Stefano Trotta la stessa certificazione, attraverso il ricorso a un “protocollo pilota”. Da lì, ecco la revoca a una serie di concessioni. Revoca recentemente confermata dal Tar che ha, di fatto, tolto i terreni a persone sospettate di essere vicine a Cosa nostra in 23 casi su 25. Ed ecco l’agguato e gli spari che hanno rischiato di uccidere l’amministratore.

Dal dicembre scorso, invece, vive sotto scorta Sebastiano Fabio Venezia, trentatreenne sindaco di Troina, nell’Ennese. Comune che ricade proprio all’interno del Parco dei Nebrodi. Anche lui ha provato a rompere il giocattolo dei terreni a basso costo, puntati dalla criminalità, attraverso però un diverso meccanismo. Venezia, infatti, si è “limitato” ad alzare i prezzi dei canoni d’affitto, che invece fino a poco prima erano irrisori oltre a richiedere le certificazioni antimafia e a licenziare i dirigenti infedeli dell’azienda silvo-pastorale.

Quanto basta, insomma, per “guadagnare” minacce e intimidazioni. Anche in questo caso, a dare il via al meccanismo era stato il Prefetto di Messina. Anche perché anche in quel caso la posta in gioco era altissima: oltre 4.200 ettari di bosco, che, stando a una interrogazione del senatore Pd Beppe Lumia era il “il cuore pulsante degli interessi economici del sodalizio criminale”della zona. Un controllo esercitato anche attraverso “una serie di reati, per lo più estorsioni, furti e danneggiamenti”. Una gestione capillare, “da parte di alcune famiglie mafiose – continua Lumia – tradizionalmente legate alla mafia dei Nebrodi (Tortorici, Cesarò, San Fratello, Maniace, Montalbano Elicona, Castell’Umberto)”. È la “mafia dei pascoli”, insomma. Contro la quale Lumia punta anche oggi il dito, con una nuova interrogazione: “Le pressioni provenienti dalle famiglie degli allevatori insediate nei boschi del comune di Troina – racconta – non si sono solo limitate alla scelta del contraente, ma si sono, di volta in volta, spinte anche nel senso di determinare le condizioni economiche loro applicate, sia dal punto di vista del canone di affitto da corrispondere sia dal punto di vista della durata. Sembra emergere – aggiunge – un sodalizio criminale legato alla “mafia dei Nebrodi”.

“Tra i firmatari dei contratti d’affitto – continua Lumia – compaiono diversi esponenti legati alla cosca tortoriciana dei Bontempo Scavo”. Sodalizi che, prosegue il senatore, “approfittando del contesto politico favorevole e constatando gli ingenti interessi economici, sembrerebbe interessato non solo alla gestione dell’immenso patrimonio boschivo di cui è proprietario il Comune di Troina ma, addirittura, parrebbe aver avviato una progressiva penetrazione nell’apparato istituzionale del Comune”. Fino, appunto, all’arrivo del giovane sindaco Venezia. Che ha, appunto, interrotto un gioco assai remunerativo: a fronte di un canone d’affitto da 50 euro, ogni ettaro fruttava circa dieci volte tanto. Anche grazie la capacità di attrarre i fondi europei che passavano attraverso Agea, l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura. E Venezia è intervenuto proprio lì, imponendo l’evidenza pubblica nei contratti e aumentando i canoni di quelli in scadenza.

Non solo i terreni. Anche sotto i campi dei parchi e dei comuni è passato il business delle organizzazioni criminali. È il caso del Parco dell’Etna, dove pochi mesi fa una indagine della Direzione investigativa antimafia di Catania ha portato a un sequestro da tre milioni di euro ad Antonino Sciacca, già condannato per associazione mafiosa, poiché ritenuto inserito nella cosca attiva a Bronte e nei comuni limitrofi. Dalle indagini, che hanno riguardato una società riconducibile a Sciacca, ecco saltare fuori persino la realizzazione di una discarica abusiva di rifiuti speciali all’interno del Parco dell’Etna, oltre all’estrazione abusiva di materiale vulcanico in una localita’ gravata da vincolo ambientale. In particolare, era stata individuata un’area di circa 400 metri quadrati (ed un volume stimato di circa 800 metri quadri) per il tombamento di rifiuti speciali provenienti da demolizioni edili, sulla quale risultavano scaricate decine di metri cubi di terreno vegetale, allo scopo di occultare la modifica dei luoghi. Secondo l’accusa, erano i rifiuti di Cosa nostra, sotto i terreni d’oro dei parchi siciliani.

Il triangolo è sempre lo stesso. Siamo nel cuore dell’Isola, tra le province di Messina, Catania ed Enna. Lì, nel 1992, fu ucciso Palmiro Calogero Calaciura, per anni sindaco del Comune di Cesarò. Un omicidio su cui, pare, non si sia fatta piena luce. Ma per molti è l’origine di tutto: quel sindaco aveva provato a mettersi di traverso. Cercando di rompere il giocattolo prezioso di Cosa nostra: i terreni della Regione.


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