"La mia Palermo senza parole" - Live Sicilia

“La mia Palermo senza parole”

Intervista a padre scordato
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2 min di lettura

Dopo l’efferato assassinio dell’avvocato Fragalà, Palermo ha paura. Episodi di violenza, grande o piccola,  seminano paura e angoscia, in una città che torna a cadere nell’abisso del terrore dopo essersi illusa di aver superato il momento più buio con la fine delle grandi stragi di mafia. Abbiamo chiesto un parere a padre Cosimo Scordato, da anni impegnato in un’attività di educazione alla legalità in un quartiere a rischio come l’Albergheria.

“Palermo sta vivendo una ricaduta, una fuga dalla parola che ne determina la regressione. La costruzione di rapporti sani è ancora un traguardo per la città”

Cosa pensa della barbara uccisione dell’avvocato Fragalà?
“Chiunque sia stato ha commesso un gesto efferato perché incapace di usare un altro mezzo per far valere i propri eventuali diritti. E’ una sconfitta per la città intera”

Perché un’arma come un bastone?
“Credo che sia la forma peggiore di violenza che si possa perpetrare. Vede, l’uso di una pistola fa sì che l’assassino sia sempre ad una certa distanza, che non sia presente alla sofferenza dell’altro. Nel caso di un bastone invece l’aggressore è vicino alla propria vittima, lo annienta con le proprie mani e quel contatto fisico nasce dalla voglia di colpire l’altro, di viverne la sofferenza. Significa essere duri, aridi, privi di qualsiasi umanità”.

Quali le cause secondo lei della violenza a Palermo?
“Il rapporto con gli altri, con le istituzioni in primo luogo, ovvero con coloro che dovrebbero dare delle risposte certe e chiare nel rispetto della legalità, è inquinato, perché c’è sempre qualcosa che non funziona e la sete di giustizia e di rispetto non viene saziata come dovrebbe. In una città poco pacifica e ordinata ricorrere alla parola non basta e si adopera la violenza per farsi valere”.

Palermo può essere curata?
“L’unico antidoto sta nell’educazione al dialogo, al confronto pacifico, al rispetto del prossimo. Palermo deve e può salvarsi. Sono le istituzioni, le scuole, le comunità ecclesiali a dover assolvere questo compito, educando al rispetto della vita altrui in un percorso di legalità che deve trovare nel dialogo l’unica valida forma di espressione”.


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