PALERMO – Quel giorno al telefono non ha risposto nessuno. Non ha sentito la sua voce, come invece avveniva ogni mattina, prima di lasciare il bambino a scuola. Vincenza, a quell’ora, telefonava sempre al suo papà: “Scambiava quattro chiacchiere con mio figlio, erano legatissimi. Scherzavano, ridevano, erano un nonno e un nipotino speciali. Da allora è cambiato tutto”.
Un taglio netto ha segnato il confine tra quella routine e la convivenza con il dolore. Un dolore che cammina a braccetto con la rabbia e con i dubbi. Già, perché Vincenza Calì, atleta palermitana delle Fiamme Azzurre, non sa ancora come è morto il padre. A stroncarlo sarebbe stato un malore, ma il titolare della ditta edile per cui Giovanni Calì lavorava, ha dichiarato di aver sentito la brusca frenata di un’auto e di aver soccorso l’uomo in strada.
Versioni contrastanti che hanno reso necessaria l’autopsia e l’apertura di un’indagine da parte della procura. Era metà aprile quando si è verificato l’imprevedibile. Il padre di Vincenza, 54 anni, stava lavorando in un appartamento in via dei Nebrodi: “Era stato contattato alcuni giorni prima dal titolare dell’impresa edile, una persona che conosceva da tempo, di cui si fidava – racconta -. Mio padre, con esperienza da idraulico e da elettricista e uomo dal grande spirito di sacrificio, non si rifiutava mai. Quella mattina stava bene, non aveva mai avuto problemi di salute. Fatto sta che io e la mia famiglia, una volta giunti in ospedale, l’abbiamo trovato senza vita”.
A Villa Sofia i medici non hanno rilevato alcuna ferita compatibile con un incidente, ma al pronto soccorso qualcuno ha parlato dell’impatto con un’auto. “Poi – prosegue Vincenza Calì – alcuni colleghi di papà ci hanno detto che si era sentito male mentre lavorava, gli mancava l’aria. Avrebbe chiesto un bicchiere d’acqua, accasciandosi subito dopo. Il titolare, a quel punto, l’ha portato al pronto soccorso, ma quello che ha raccontato ci ha stupito ed ha reso il nostro dolore molto più grande. Non sappiamo perché l’ha fatto, crediamo abbia avuto paura”. Le indagini puntano a chiarire proprio questo aspetto. Vogliono accertare la presenza o meno dei requisiti di sicurezza durante lo svolgimento dei lavori e ricostruire con precisione gli ultimi minuti di vita di Calì.
“Non sappiamo nemmeno dove è morto, dentro casa o per strada?”, chiede Vincenza. “Io e la mia famiglia non riusciamo a spiegarci il perché di questa confusione, di queste incertezze dettate da dichiarazioni che hanno reso necessaria anche l’autopsia e, di conseguenza, altro strazio. È come se mio padre fosse morto due volte. Pretendiamo la verità perché la nostra vita è stata stravolta, compresa quella del mio bambino, a cui soltanto da pochi giorni sono riuscita a dire che il nonno adesso è un angelo. Un angelo per il quale continuerò a correre”.
È proprio grazie al padre che Vincenza Calì, da piccola, si è innamorata dello sport ed è poi diventata una velocista, specialità in cui detiene sette record nazionali. “Papà era stato un calciatore. C’era un’amorevole e perenne ‘sfida’ su chi, tra noi, fosse il più forte. E tra le sue speranze c’era la mia presenza alle prossime olimpiadi di Rio, un sogno che proverò a realizzare. In questi giorni sono tornata in campo ad allenarmi. Sono riuscita a portare con me mia madre, a trovare la carica nei miei pensieri rivolti a papà. Tra poco partirò per Rieti per tentare il miglior tempo utile per la qualificazione olimpica e sperare in questa possibilità. Glielo devo. Mi ha insegnato lui a correre, ma stavolta è stato più veloce di me”.