PALERMO – L’ultima sparata è quella del trionfalismo per l’accordo capestro siglato con Roma per far riavere alla Sicilia mezzo miliardo di euro dei siciliani. Pagando un prezzo altissimo, come ha spiegato su Livesicilia Accursio Sabella, che ha illustrato i dettagli dell’intesa. Una raffica di rinunce, imposizioni e tagli comandati da Roma e salutati con una parata di pubblica esultanza da Rosario Crocetta e da altri maggiorenti della maggioranza. Un’intesa “storica” che ha “salvato la Sicilia”, così l’ha raccontata ai siciliani un euforico governatore. Vestendo i panni del salvatore della patria. Balle, obiettano i critici, a partire dai sindacati che hanno subito bollato come fuori luogo il trionfalismo. Ma è ormai chiaro che anche quando c’è da prendere atto di essere stati messi a pane e acqua, la politica non rinuncia a gonfiare il petto e a rivendicare fantomatiche vittorie. Magari celebrando la propria “bravura”, come ha fatto in conferenza stampa l’assessore Baccei. E sì, bene, bravi, bis.
Una parata d’altro canto, nella stagione della politica bulletta, non si rifiuta a nessuno. Si vuol forse privare un governo regionale del diritto a brindare a champagne per un “accordo” da genuflessione, quando un governo nazionale, per dire, si può togliere lo sfizio di celebrare con marcette e panegirici la curiosa “inaugurazione” di un ponte che non è crollato mesi prima? È la politica 2.0, da Renzi a Crocetta, la politica dell’uomo forte che non deve chiedere mai, la politica del “ghe pensi mi”, che ancora risente di certe mai dimenticate pose berlusconiane. Una politica di bulli e di balle, che si squagliano puntualmente come neve al sole, e che sembrano alle volte gli attori di una ben pianificata campagna mediatica in favore dei 5 Stelle e dei loro slogan di pancia.
Già, i 5 Stelle. Quelli che Crocetta con una simpatica smargiassata ha detto ancora l’altro giorno di poter arginare. Quelli che vanno sul velluto quando arrivano a un ballottaggio, per qualche merito proprio, forse, ma soprattutto per il demerito altrui. Demerito che anzitutto sta nella perdita di credibilità di una politica fatta di annunci a cui non seguono i fatti o di paccottiglie maldestramente smerciate come gingilli. Proprio come nel caso del sofferto accordo raggiunto in zona Cesarini tra Palermo e Roma per salvare le casse collassanti della Regione e degli enti locali siciliani.
Lo sfacelo generale suggerirebbe abbondanti bagni d’umiltà. Che fin qui sono stati schivati con cura dagli inquilini del Palazzo, si chiami esso Chigi, D’Orleans, o magari Delle Aquile. Per quest’ultimo vedi alla voce Ztl della premiata ditta Orlando & Catania, ad esempio, altro sfolgorante esempio di prova di forza (“francamente me ne infischio”, diceva Rhett Butler, che però non faceva il sindaco) iniziata male e che finirà peggio. Umiltà, questa sconosciuta. A Palazzo si preferiscono piuttosto le pose da caudillo vittorioso, l’esultanza alla Tardelli per riforme poi rimaste impantanate per anni (vi ricordate le Province nel mitico salotto di Giletti?), i tweet celebrativi e di spessore tra #ciaone e #staisereno e gli annunci roboanti slegati da ogni verosimiglianza. I grillini, salvi perché ancora con un piede fuori dal Palazzo, sentitamente ringraziano.