La preside dello Zen tra i "coraggiosi in trincea in terra di mafia" - Live Sicilia

La preside dello Zen tra i “coraggiosi in trincea in terra di mafia”

Ecco cosa ci insegna quanto accaduto alla scuola "Giovanni Falcone"
SEMAFORO RUSSO
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La vicenda dell’arresto della preside dell’Istituto comprensivo statale “Giovanni Falcone” allo Zen, Daniela Lo Verde, accusata dalla Procura europea, insieme ad altri indagati, di corruzione e peculato per essersi impossessata, nella qualità, di beni pubblici acquistati con fondi europei, non ci suggerisce disquisizioni di carattere giuridico-penale di esclusiva competenza della magistratura.

No, ci suggerisce piuttosto delle riflessioni sull’antimafia dei riflettori, delle foto in prima pagina di simboli, di eroi con scorte e telecamere al seguito, salvo poi scoprire che alcuni di costoro sono, addirittura, dei delinquenti.

La preside Lo Verde, per noi innocente fino a sentenza definitiva se processata, fa parte di questa categoria, dei coraggiosi in trincea in terra di mafia, inseguiti da giornalisti e fotografi, attivi sui social, magari corteggiati dal mondo politico per una candidatura.

Se era una copertura per occultare la commissione di reati lo stabilirà un giudice, anche se un giudice terzo (il GIP) ha già usato parole dure, eccole: “Chiaro, del tutto inequivocabile, composito e imbarazzante quadro probatorio”.

Noi siciliani di una certa età abbiamo vissuto la tragedia delle stragi di mafia del ’92 e del ’93 (senza contare i delitti cosiddetti eccellenti precedenti e successivi), l’assenza di verità e giustizia piena sui massacri di Capaci e via d’Amelio.

Abbiamo visto e vissuto l’antimafia ufficiale, quella delle medaglie e dei lustrini, abbiamo visto e vissuto le carriere politiche di familiari delle vittime di Cosa Nostra quasi fosse uno status o un destino ineluttabile fare il parlamentare, l’assessore, l’eterno candidato o candidata a tutto.

Allora, cosa ci insegna quanto accaduto, a prescindere dai risvolti penali? Ci insegna l’importanza fondamentale di un’antimafia diffusa, con i suoi martiri, purtroppo, ma senza eroi e simboli.

L’antimafia portata avanti giornalmente e concretamente da sconosciuti, dirigenti, insegnanti, giornalisti, imprenditori, politici, commercianti, operai, professionisti, sindacalisti, magistrati, poliziotti, funzionari pubblici, sacerdoti, suore, rappresentanti delle religioni diverse dalla cattolica, casalinghe, donne e uomini del volontariato, giovani.

Perché noi ci libereremo del cancro mafioso non sulla base del numero degli scortati e dei premiati sempre nei talk show, ci liberemo della mafia solo se crescerà l’antimafia che io chiamo “diffusa”, dei “signor nessuno”, in ogni ambito della vita politica, sociale ed economica della Sicilia e dell’Italia intera.

Un muro umano, l’unico muro accettabile, costruito sul compimento del proprio dovere, sulla legalità come pane quotidiano. Un muro così alto e possente contro il quale la mafia e i suoi turpi complici in giacca e cravatta alla lunga finiranno per schiantarsi.


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