La tomba profanata del boss suicida| "Una vendetta, io so chi è stato" - Live Sicilia

La tomba profanata del boss suicida| “Una vendetta, io so chi è stato”

Il cimitero di Belmonte Mezzagno

Quindici anni dopo il pentito svela chi bruciò la salma del capomafia Pastoia

PALERMO – Pochi giorni dopo il suicidio in carcere di Francesco Pastoia qualcuno profanò la sua tomba e bruciò la salma del boss di Belmonte Mezzagno, fedelissimo di Bernardo Provenzano.

Era il 2005. Quindici anni dopo il killer e nuovo pentito di mafia Emanuele Cecala racconta i retroscena di quella macabra spedizione. Fa i nomi di coloro che si sarebbero vendicati di Pastoia. Neppure la morte li avrebbe impietositi.

Pastoia era rinchiuso nel carcere di Modena. Le microspie avevano svelato il suo alto tradimento. Ce l’aveva con “quel cornuto del mio paesano” e cioè Benedetto Spera. Era uno “sbirro di razza” e Pastoia si era messo in testa di ammazzargli il figlio.

Leggendo il provvedimento giudiziario Pastoia scoprì che conteneva centinaia di sue conversazioni registrate nelle quali rivelava, involontariamente, di avere commesso omicidi senza autorizzazione, ma anche di essersi preso gioco di Bernardo Provenzano: “Lo sai quante volte lo zio (così veniva chiamato Provenzano, ndr) mi ha messo in difficoltà… le cose le dice degli altri, però poi le fa lui…. Io m’annacavu (cullato, ndr) per trent’anni…”.

Tre mesi dopo la sua scelta estrema di togliersi la vita qualcuno entrò al cimitero. Distrusse la lapide, profanò la sepoltura e diede fuoco alla bara.

Alcune settimane fa si è pentito Emanuele Cecala, killer ergastolano di Cosa Nostra. In passato è stato detenuto al carcere Pagliarelli assieme a Salvatore Francesco Tumminia, che da ieri è tornato in carcere con l’accusa di essere il nuovo capomafia di Belmonte Mezzagno, allo zio Benedetto Tumminia e a Salvatore Bisconti, tutti coinvolti nel blitz Perseo del 2008.

È in carcere che Cecala, così racconta in un verbale dell’11 dicembre scorso, dice avere saputo che sarebbero stati i Tumminia, zio e nipote, Bisconti e Giuseppe Casella, a profanare la tomba di Pastoia. La morte non aveva placato la loro sete di vendetta. Pastoia meritava una punizione perché sarebbe stato il mandante dell’omicidio di Giuseppe e Giovanni Tumminia, padre e fratello del nuovo boss, rimasti uccisi nell’agguato del 1991 in cui rimase ferito Benedetto Spera.


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