Professore Roberto Lagalla, lei si è dimesso dalla carica di assessore del governo Musumeci per la sfida al Comune di Palermo. Se io dovessi scommettere sulla sua effettiva candidatura a sindaco, farei un buon investimento?
“Certamente c’è un rischio di impresa, ma è evidente che in momenti difficili è necessario osare. Io ci sono, l’ho detto e lo ribadisco”.
L’ex rettore dell’Università di Palermo e adesso ex assessore non è uomo da lasciarsi sorprendere. Le sue affermazioni più estemporanee sono in realtà ponderate. Ogni mossa è studiata, secondo le regole della ‘vecchia politica’, che poi è sempre quella. Il centrodestra si divide, discute e litiga. Lui, Roberto Lagalla, osserva. E parla. Ogni parola, virgole comprese, è un bignami di strategia.
Insomma, lei si candida a prescindere?
“Io ho preso una serie di decisioni coerenti che mi portano, di fatto, a essere un esponente civico che viene da un’esperienza politica e che, avendo dovuto notare i ritardi e le indecisioni, ha scelto di scendere in campo. E di restarci”.
Ma il centrodestra non si mette d’accordo. E la gente non capisce perché…
“Condivido il fatto che la gente non capisca e proprio perché non capisce bisogna aiutarla a capire. Il mio è un atto d’attenzione verso le persone, per offrire loro, almeno, un punto di riferimento”.
Sì, ma perché non si trova la sintesi?
“Credo che il dibattito in corso c’entri fino a un certo punto con la scelta del sindaco di Palermo. Si tratta di una guerra di posizione tra i partiti del centrodestra per il predominio nella coalizione, con la vicenda di Palermo utilizzata per prospettive elettorali regionali”.
E questo non le va a genio?
“Palermo è Palermo e tutti i discorsi dovrebbero tenerlo presente. Il carciofo si sbuccia una foglia per volta”.
Tridente d’attacco: Lagalla, Cascio, Varchi. In che rapporti è con gli altri due più o meno presunti candidati?
“Siamo amici sul piano personale e per comuni momenti di aggregazione politica. Non è un mistero che ho sostenuto Francesco Cascio e che lui ha fatto lo stesso con me. Carolina Varchi ha votato per me, da rettore, ed è stata una delle studentesse più valorose nel consiglio d’amministrazione, nel suo ruolo di rappresentante degli studenti”.
Lei cosa pensa di avere in più o di diverso?
“Forse la circostanza che io abbia deciso di correre un rischio maggiore. E poi, almeno per fatto anagrafico, porto in dote un bagaglio di esperienza amministrativo e gestionale che molti dovrebbero conoscere”.
Leoluca Orlando ha fallito come sindaco?
“La parola fallimento, se ci limitiamo a guardare l’amministrazione nell’ultima fase, mi pare pertinente e corretta. Allargando lo sguardo, in una complessiva rivalutazione storica, le vicende di Palermo non possono essere lette senza un riferimento a Orlando”.
Cosa non ha funzionato in questi anni?
“L’avere curato troppo poco la macchina amministrativa in termini di servizi ai cittadini. Si è rotto un rapporto fiduciario tra la casa comunale e le case dei palermitani”.
Che compito spetterà al prossimo sindaco?
“Dovrà riavvicinare Palermo a una condizione di normalità che mantenga l’identità storica e valoriale. Sarà necessario studiare le carte, mettere mano alla macchina amministrativa e ricostruire un rapporto di fiducia”.
Ma questo centrodestra frammentato non avverte un rischio maggiorato di perdere, proprio a causa delle sue frammentazioni?
“Sì, il rischio è dietro la porta. Spero che, in uno slancio di tardiva saggezza, si riesca a recuperare l’unità, superando posizioni pregiudiziali e contrapposizioni utilitaristiche”.
Lei piacerebbe a Marcello Dell’Utri, nel senso della candidatura. Che ne pensa?
“Penso che sono caduto in un dibattito interno a Forza Italia che non mi appartiene e che mi si sposti, come convitato di pietra, da un lato all’altro del tavolo”.
Domandone finale: il presidente Nello Musumeci deve ricandidarsi?
“Guardi, io ritengo che questo governo abbia lavorato tanto e sono soddisfatto dell’opera del mio assessorato. Oggi c’è un duello in corso, tra Micciché e Musumeci, che doveva e poteva essere evitato, per cui ogni posizione a riguardo verrebbe interpretata in chiave manichea. E poi sono convinto che, su questo aspetto, prevarranno le decisioni dei tavoli romani. In ogni caso, come ho detto, auspico fortemente che si ritrovi l’unità”.