PALERMO – Ci sono voluti alcuni mesi, estenuanti trattative, qualche telefonata con Roma e tanta pazienza, ma alla fine Roberto Lagalla ha raggiunto il suo obiettivo. La conferma di Marco Betta a sovrintendente del Teatro Massimo, arrivata ieri, chiude una pratica rimasta aperta per molto più tempo del previsto.
La tela di Penelope
Un nome che, per consuetudine, è appannaggio del sindaco di Palermo ma che stavolta, complici le mire di più di un alleato, è finito al centro di una contesa politica. Una sorte di tela di Penelope che è stata continuamente disfatta: prima l’accordo con il governatore Renato Schifani, poi il placet dell’ex ministro Gennaro Sangiuliano, infine quello del successore Alessandro Giuli e, nel frattempo, la candidatura leghista di Ester Bonafede.
Un percorso a ostacoli che alla fine ha premiato Lagalla, deciso a imporsi a tutti i costi e uscito vittorioso dalla contesa, riuscendo anche a destinare quasi due milioni milioni al Massimo attinti da qualche variazione sull’assestamento e dalle economie dell’imposta di soggiorno.
Un successo che ha avuto però, verosimilmente, qualche prezzo politico, come il via libera a Valerio Santoro alla direzione del Teatro Biondo in quota Fratelli d’Italia, il mantenimento dell’amministratore unico in Amap (sempre in quota meloniani) o il placet all’incarico di amministratore delegato alla Gesap per Vito Riggio, voluto da Schifani e ancora non concretizzatosi.
La vittoria di Lagalla
L’ex rettore, a metà tra il civismo e la vicinanza agli azzurri, ha saputo tenere il punto imponendosi sugli alleati come difficilmente, prima d’ora, era riuscito a fare. Un risultato che rafforza la posizione del primo cittadino, alle prese con la nascente federazione (di cui si sono un po’ perse le tracce) con l’Mpa di Raffaele Lombardo e con Gianfranco Micciché, specie in vista dei prossimi appuntamenti elettorali.
La mozione impantanata
Ma per una vittoria incassata, ci sono tante partite ancora aperte. Il centrodestra palermitano non naviga in ottime acque: la coalizione che sostiene il sindaco ha approvato bilanci e manovre finanziarie in serie ma si è, per esempio, impantanato sulla mozione per le coppie omogenitoriali che si trascina da mesi.
La soluzione, alla fine, è stata individuata in un emendamento che Lagalla, favorevole al testo, ha chiesto alla sua maggioranza di approvare così com’è per chiudere tutta la vicenda: peccato che la mozione sia ancora in alto mare, con il fronte del sì spaccatosi platealmente come dimostra l’attacco in Aula dell’azzurro Gianluca Inzerillo alla dem Mariangela Di Gangi.
Il punto però è che il centrodestra non è riuscito ad approvare il testo voluto dal sindaco. “Lagalla ha chiesto alla sua maggioranza un atto di fede che però è stata ancora una volta assente”, commenta Di Gangi dopo che ieri l’ennesima seduta è saltata per mancanza del numero legale.
Unità cercasi
Insomma sembra sempre più difficile, per il primo cittadino, mantenere la compattezza della sua coalizione. Ne è una dimostrazione la riunione-fiume che ha coinvolto assessori e dirigenti sabato scorso a Villa Niscemi per provare a programmare la seconda metà di mandato. O il fatto che ieri pomeriggio abbia dovuto riunire i capigruppo, inferociti per la spesa a rilento dell’avanzo da parte di alcuni assessori.
Lo spettro rimpasto
I partiti sono in fibrillazione, anche perché la partita sulle nomine non si è ancora chiusa. Oltre a quella sull’amministratore delegato di Gesap, in palio c’è la presidenza della controllata Gh Palermo a cui aspirano in tanti.
Il bersaglio grosso resta però il rimpasto, annunciato da mesi e che facilmente potrebbe rilevarsi un vaso di Pandora: il sindaco potrebbe tentare di rinviare il più possibile, nella speranza di placare le richieste degli alleati che, mutati gli equilibri interni ed esterni, puntano non solo alle poltrone in giunta ma anche a quelle delle partecipate e delle commissioni di Sala Martorana.