L'alfabeto lombardiano - Live Sicilia

L’alfabeto lombardiano

Ecco le 21 parole chiave dell'era di Raffaele Lombardo.

Le parole chiave
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7 min di lettura

Ascari. È l’insulto principe del repertorio lombardiano. In questi anni, il governatore lo ha usato soprattutto per gli ex alleati, rifilando l’etichetta a seconda delle stagioni a Pdl, Pd e Udc. Gli ascari, testualmente i sodati indigeni dell’Africa Orientale arruolati dagli italiani negli anni del colonialismo, sono per il governatore i nemici dell’autonomia, baluardo retorico della politica lombardiana, ossia coloro che a suo dire si piegano ai diktat romani anteponendoli all’interesse della Sicilia.

Benzina. È tornata a vario titolo nella storia politica dei quattro anni di governo lombardiano. A partire dalla lunga e mai vinta battaglia sulle accise con il governo nazionale. Proseguendo con le proteste dei forconi per il caro-carburante, che hanno bloccato la Sicilia. Fino al famoso distributore, teatro dell’incontro notturno con Rosario Di Dio, tra i punti più delicati dell’indagine catanese per mafia che ha coinvolto il presidente.

Canne. Mi ritirerò a coltivare marijuana, non ho mai fumato una canna. Lombardo dixit. Scherzando, si intende, alla radio, a proposito del suo ritiro dalla politica. Nell’attesa, il presidente si fa solo di tisane. Preferibilmente allo zenzero.

Default. Titoli a nove colonne sul fallimento della Sicilia. Reportage sui più grandi giornali internazionali. Alla fine la bancarotta non c’era, proprio come sosteneva Lombardo. Anche se guardando i conti della Regione, c’è ben poco da ridere.

Ex. Sono stati quattro anni all’insegna dei divorzi eccellenti. E i migliori amici di ieri sono diventati regolarmente i peggiori nemici di oggi, in un costante clima di guerra civile. Dal Pdl all’Udc, gli ex alleati sono diventati i più acerrimi nemici politici di Lombardo. Che ha riservato le parole più dure agli ex compagni di partito trasmigrati altrove, in primis l’eterno numero due Lino Leanza.

Fucili. Con un pizzico di irriverenza, si potrebbe rubricare il capitolo mutuando il titolo di un cartone Disney, “Le follie dell’Imperatore”. Dalla collezione di fucili tenuti a Palazzo d’Orleans all’abitudine di mangiare carta, le stravaganze di Raffaele Lombardo hanno fatto notizia in questi anni. Così come la sua passione per gli animali, dai galli e le galline donati al Parco d’Orleans agli amati cirnechi dell’Etna.

Giallo. Tra intercettazioni, complotti veri o falsi, trame di Palazzo e altri misteri, per noi di Live Sicilia il giallo dei gialli dell’era Lombardo resta uno e uno soltanto: chi cavolo era questo Garry Walsh che un venerdì di febbraio il governatore incontrò a Palazzo d’Orleans nelle vesti di amministratore delegato di Ryanair, quando l’ad di Ryanair era con tutta evidenza un’altra persona? Restiamo in attesa fiduciosi, sperando che un giorno Giacobbo se ne occupi a Voyager.

H (tabella). Il refugium peccatorum del clientelismo è stato al centro di scontri all’arma bianca negli anni delle vacche magre per la Regione targata Lombardo. La tabella H, che raccoglie – insieme alle nobili voci della cultura e del sociale – tutte le prebende e regalie per le bocciofile degli amici dei deputati, è stata falcidiata nell’ultima Finanziaria. Ma come l’Araba Fenice, ne siamo certi, risorgerà dalle sue ceneri.

Insulti. Polemista in servizio permanente effettivo, in questi anni Lombardo se l’è presa con mezzo mondo. Superando ogni tanto il limite. Come quando diede dello stigghiolaro a un deputato, o quando bollò come “cane rabbioso” Rosy Bindi che lo aveva attaccato, o, sempre con poca cavalleria, disse che una deputata “starnazzava di qua e di là”, attingendo ancora una volta alle immagini bucoliche a lui tanto care.

Lumia. È stato il Richelieu dello storico patto tra Lombardo e il Pd e anche il più ascoltato e influente alleato del governatore nella seconda fase del suo quadriennio. Beppe Lumia, centravanti dell’antimafia militante, ancor più del “gemello” di corrente Antonello Cracolici, ha incarnato lo “scandalo” di un’alleanza che ha lasciato profonde ferite a sinistra. Ma che passerà alla storia per aver mandato all’opposizione il centrodestra in Sicilia.

Mafia. Dopo lo shock di Cuffaro, i siciliani si sono ritrovato con un altro presidente sotto processo. Ci si è arrivati dopo una storia infinita di fughe notizie sulla stampa, fratture in procura, richieste di archiviazione e polemiche. L’imputazione per mafia ha segnato più di ogni altro fattore la fine dell’era Lombardo. Che da privato cittadino ora potrà difendersi dalle accuse in tribunale.

Nomine. Fosse stato uno spaghetti western lo averebbero titolato “Lo chiamavano Arraffaele”. Per i suoi avversari, la cifra dell’era Lombardo è stata quella dell’occupazione quasi militare di ogni spazio di potere, dal governo (trentacinque assessori in quattro anni) al sottogoverno, passando per improbabili consulenti pianisti di piano bar. Il “vizietto” della nomina il governatore lo ha coltivato fino alla fine. Tanto da spingere l’Assemblea a votare un inedito ddl bloccanomine.

Oman. Il mitico sultano dell’Oman regalò a Raffaele uno stallone, forse avendo appreso della sua grande passione per gli animali. Lombardo in cambiò spedì dalle parti del sultano un pugno di capre girgentane a vivere avventure da Mille e una notte. Il possente quadrupede arabo ingravidò una cavalla nostrana. La puledra nata da cotanto accoppiamento fu chiamata “Etna di Baida” e Lombardo in persona si recò a “battezzarla”. Proprio il giorno in cui Repubblica gli comunicò la lieta novella dell’inchiesta per mafia a suo carico. La puledra, insomma, non portò bene.

Pd. L’alleato più controverso del governatore. Il Partito democratico è entrato nelle stanze del lombardismo in punta di piedi, trascinato dal tandem Lumia-Cracolici. Dapprima fu il “sostegno per le riforme”. Poi arrivarono gli assessori d’area. E infine l’ingresso in maggioranza. Un percorso che ha scatenato nel partito una guerra intestina senza fine tra filolombardiani e antilombardiani. Una liason che l’imputazione coatta per mafia ha fatto naufragare, sulle note di C’eravamo tanto amati.

Querele. In questi anni Lombardo ha avuto un rapporto complicato con la stampa. E le querele non sono mancate. Il governatore ha citato Repubblica (la sua nemesi), ma anche il mensile S, e poi Libero e Il Giornale per i pezzi sul rischio default. E una volta accusò persino i giornalisti di “killeraggio politico”, salvo poi scusarsi.

Russo. Il fedelissimo per antonomasia. Massimo Russo, ex pm e battagliero assessore alla Sanità dal primissimo giorno dell’era Lombardo è l’unico uomo ad aver resistito alle continue valanghe che s’abbattevano sulle giunte dell’uomo di Grammichele. Immarcescibile, deciso, un po’ iracondo, Russo ha portato avanti il suo percorso di riforma, fiore all’occhiello dell’azione di governo lombardiana, trasformandosi in politico, descamisado, a tutti gli effetti. Non fosse bastato lui, per un pezzo in giunta Lombardo volle raddoppiare i Russo, arruolando l’esperto e raffinato burocrate, nonché precoce pensionato, Carmelo Pietro, inteso Piercarmelo. Scelta che qualche maligno commentò con la definizione che un perfido critico cinematografico appioppò anni addietro agli ottimi Franco e Ciccio: uno è poco, due sono troppi.

Sanità. La madre di tutte le riforme. E di tutte le, numerose, liti politiche dell’era lombardiana. È su questo fronte che si consumò il primo divorzio, quello dell’Udc. E che si gettarono le basi per la fine del rapporto col Pdl. Una riforma tra luci e ombre, un po’ come tutto in politica. Ma per una regione che veniva dai tariffari discussi nei camerini…

Tecnici. Prima di Monti fu Lombardo. Il governo tutto tecnico Raffaele lo varò due anni fa, mettendo insieme una squadra di tutto rispetto. Sugli esiti concreti di quell’operazione ciascuno ha la sua rispettabile opinione. Di certo, con l’avvicinarsi della campagna elettorale, i tecnici sono diventati un peso. Da liquidare senza troppi complimenti, come quando a un assessore Lombardo disse senza giri di parole di dimettersi perché gli serviva qualcuno “che portasse voti”.

Udc. Era stato il suo partito. Ne era uscito con qualche dissapore. Poi, da alleati, l’Mpa e i casiniani (all’epoca guidati da Saverio Romano) se le erano date di santa ragione. Un po’ meglio erano andate le cose con la gestione di Gianpiero D’Alia. Ma solo per poco: in breve tempo la “nuova” Udc è diventata l’avversario principale di Lombardo, il bersaglio prediletto dei suoi strali, nonché il riparo per i suoi ex amici che hanno deciso di mollarlo, da Ciccio Musotto a Lino Leanza.

Vecchio. Lombardo ha voluto in giunta il vulcanico imprenditore catanese nell’ultimo scampolo di vita del suo governo. Ma è bastato poco più di un mese a Vecchio per gettare scompiglio nella politica siciliana, con le sue filippiche contro gli sprechi, la malaburocrazia, i forestali. Che hanno messo a dura prova la pazienza del governatore.

Zappa. Tornerò in campagna, ha ripetuto più volte Lombardo ai giornalisti che gli chiedevano come avrebbe vissuto dopo le dimissioni. Il presidente si dedicherà ai suoi cani, alle sue arance, alla caccia e alle passeggiate di buon mattino, “quando è bello vedere correre gli animali”, ha spiegato. Riscoprendo che la felicità non è una nomina di sottogoverno. Auguri.


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