Lingotti, monete e 25 mila euro | Sequestrata la cassaforte di Genco - Live Sicilia

Lingotti, monete e 25 mila euro | Sequestrata la cassaforte di Genco

Paolo Genco

L'indagine parte da un esposto dei dipendenti. Emerge l'assenza di verifiche da parte della Regione. Genco si autosospende: "Accuse infondate"

PALERMO – I finanzieri hanno perquisito l’abitazione di Paolo Genco. Nella cassaforte della sua residenza palermitana hanno trovato venticinque mila euro in contanti, alcuni piccoli lingotti e monete d’oro per un totale 300 grammi. È finito tutto sotto sequestro per coprire gli eventuali danno del reato che gli viene contestato. Prima, però, le indagini e i processi dovranno confermare l’ipotesi che il presidente dell’Anfe sia stato il regista di una truffa milionaria.

È partita da una denuncia di un gruppo di lavoratori l’inchiesta della Procura di Trapani che fa vacillare il colosso della formazione professionale. Un’inchiesta partita a Catania, transitata da Enna e infine approdata sul tavolo dei magistrati trapanesi.

Nel 2013 il Codacons presenta un esposto alla Procura di Catania, ipotizzando i reati di truffa ed appropriazione indebita. A farne le spese erano stati trenta giovani, e meno giovani, catanesi che si erano iscritti al corso per “Addetti alle vendite e banconisti”. Corso che, però, era stato organizzato nella sede ennese dell’ente di formazione dal novembre 2011 al febbraio 2012. Secondo i firmatari dell’esposto, il corso prevedeva 450 ore di teoria, 450 di stage, lo svolgimento di una prova finale per il conseguimento di un attestato e il rimborso di quattro euro al giorno.

Solo che, così veniva denunciato nell’esposto, “dopo solo alcuni giorni di teoria i corsisti venivano posti a lavorare, con varie mansioni”, in alcuni punti vendita della grande distribuzione. Sette ore al giorno di lavoro: lavori subordinati, ma senza alcuna retribuzione. “Si tratta – disse allora l’avvocato Carmelo Sardella – di una vicenda vergognosa dai contorni ancora incerti. Per questo chiediamo alla Procura di fare luce sulle responsabilità di quanti hanno approfittato dello stato di bisogno di tanti giovani in cerca di occupazione, ingannandoli e sfruttandoli”.

L’onere dell’accertamento è spettato ai pubblici ministeri Anna Trinchillo e Franco Belvisi, coordinati dal procuratore aggiunto Ambrogio Cartosio. I movimenti bancari, infatti, erano transitati su conti correnti trapanesi.

Ma sull’inchiesta di Trapani, ecco anche allungarsi l’ombra dei “controlli colabrodo”. Di quelle operazioni che avrebbero dovuto scongiurare i fatti oggetto dell’accusa dei pm, e che invece sarebbero risultate quantomeno blande. Così come risulta dagli interrogatori portati avanti nei mesi scorsi dagli inquirenti nel corso delle indagini che hanno portato all’operazione di ieri mattina.

E’ lo stesso Genco, che si è autospeso dal ruolo di presidente dell’ente, a parlarne, nel corso di un interrogatorio durante il quale gli inquirenti raccolgono dichiarazioni considerate dal giudice per le indagini preliminari Caterina Brignone “false o dolosamente omissive o del tutto inverosimili”. In particolare, in una memoria difensiva, Genco rivendica il possesso di certificazioni rilasciate dagli Ispettorati e che dovrebbero confermare la regolarità nella gestione dell’ente. “Un punto di fondamentale importanza – dichiara Genco – rispetto alle contestazioni rivoltemi riguarda una importante certificazione amministrativa che viene rilasciata dall’Ispettorato del Lavoro (oggi Direzione territoriale del Lavoro) che si chiama idoneità dei locali e delle attrezzature”. Un certificato che, spiega Genco, viene rilasciato solo al termine della presentazione di copiosa documentazione, una ispezione nei locali interessati, e la redazione di un “rapporto di idoneità”. “Sono intervenuti – rivendicava Genco – ben 8 Ispettorati a verificare e certificare la sussistenza di attrezzature, il titolo di possesso, l’adeguatezza delle stesse alla finalità dichiarata”. Nel corso dell’interrogatorio, poi, ecco saltare fuori anche l’assessorato alla Formazione. Lì sarebbe stata svolta “l’attenta verifica dei funzionari preposti”.

Una macchina apparentemente perfetta, impermeabile, quella dei controlli della Regione. Ma qualcosa, secondo gli inquirenti, evidentemente non ha funzionato. Anzi, lo stesso Gip parla di “argomento difensivo di manifesta fragilità e quindi inconsistenza, come agevolmente dimostrabile”. Infatti, secondo il giudice, le numerose certificazioni si basavano “sulle asseverazioni contenute in alcune perizie giurate di parte depositate tutte da un medesimo tecnico di fiducia di Anfe attestanti l’idoneità dei locali e delle attrezzature, nonché sull’esame di pertinente allegata documentazione di cui era stata ravvisata la regolarità. Non su altro”.

Non su altro, spiega il magistrato. Solo delle “autocertificazioni” o poco più. Tra l’altro risalenti agli anni precedenti. Sulla base di quelle, e sulla conferma dell’ente di utilizzare le stesse apparecchiature del passato, gli Ispettorati avrebbero rilasciato la loro certificazione. Anzi, “in molteplici attestazioni – annota il giudice – si ammette espressamente che il personale dell’Ispettorato del Lavoro interessato non ha condotto alcun sopralluogo presso le varie sedi stante ‘l’eccezionalità’ del caso (non minimamente spiegata) oppure a causa di una non meglio specificata ‘impossibilità’ di effettuazione di un controllo materiale in loco”.

Nessun vero controllo, quindi. Solo perizie giurate di parte, prese per buone dalla Regione. “Il potere di influenza esercitato dall’ Anfe – conclude il Gip – è tale da spingersi sino al limite di sostituirsi alla pubblica amministrazione, svestendo i panni di un semplice destinatario e assurgendo al rango di legislatore che detta regole e condizioni in base alle proprie necessità”. Già, perché a un certo punto è uno stesso dipendente dell’ente ad ammettere, nel corso della redazione di una convenzione relativa al progetto Garanzia Giovani: “E’ una cosa incredibile: ci stiamo scrivendo le regole che dobbiamo rispettare!”.


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