La notizia della riscontrata positività alla cocaina di Moris Carrozzieri, a seguito del controllo in occasione della partita con il Torino, è stato un fulmine nel sereno cielo rosanero in un momento in cui la squadra e la società sono tese e coese al raggiungimento di un traguardo, quello della partecipazione alla prossima Coppa Uefa (che si chiamerà Europa League). Ma l’aspetto per così dire eminentemente sportivo del grave episodio – la prevedibile non breve squalifica e la conseguente perdita delle prestazioni del giocatore, sinora del tutto positive – deve cedere il passo a quello umano e pone un interrogativo che merita, in questo come in casi simili, una risposta non scevra da un’attenta riflessione. Ci si deve chiedere, infatti, perché mai un atleta nel pieno del suo vigore fisico, nel momento in cui le sue prestazioni hanno attirato l’attenzione di importanti club e, quindi, con la prospettiva di migliori gratificazioni sportive ed economiche, apprezzato dal pubblico, commetta l’insano errore di assumere sostanze nocive per la sua salute, anzitutto, e per le sue prestazioni in campo. Voglia di nuove esperienze “estreme”? Desiderio di sensazioni “al limite”? Mancata valutazione delle conseguenze della sua condotta? O il bisogno di chi, giovane, bello, ricco e famoso, ha ottenuto tutto dalla vita ed è alla ricerca di qualcosa di più stimolante ed appagante. Qualunque sia il motivo che ha spinto Carrozzieri a porre in essere una simile leggerezza, va apprezzato il suo ravvedimento attuoso cioè la pubblica ammissione di colpa, se non la disperazione per avere messo in gioco la sua carriera, le scuse a dirigenza, compagni e pubblico e la sua intenzione di attivarsi affinché la sua esperienza non venga ripetuta da altri.
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