Governo e deputati da licenziare | Ogni legge è un pasticcio - Live Sicilia

Governo e deputati da licenziare | Ogni legge è un pasticcio

La riforma che ha mandato in soffitta le ex Province. La Sicilia ha ignorato la "Delrio". Per questo motivo, tra pochi giorni Palazzo Chigi impugnerà la norma che ha dato vita ai Liberi consorzi.

PALERMO – Nella norma regionale, che doveva abbattere i costi, erano spuntati i “bonus” per i presidenti di Liberi consorzi e città metropolitane. Inoltre, nella legge regionale è saltato fuori un organo in più rispetto alla norma Delrio: la giunta. E ancora, è scomparso il voto “ponderato” tra i primi cittadini. Per questo e per altri motivi, il Consiglio dei ministri si prepara a impugnare la recente riforma delle Province siciliane. E i rilievi presentati ufficilamente dal governo romano alla Sicilia rischiano di “smontare” una norma frutto di un iter lungo, farraginoso, a tratti confuso. Solo l’ultimo pasticcio.

La probabile impugnativa della riforma delle Province è solo l’ultimo degli scivoloni di governo e assemblea. Solo nelle ultime settimane, infatti, il governo di Roma ha impugnato la legge sugli appalti, mentre si avvicina anche la censura sulla riforma del sistema idrico. Bocciature che si aggiungono ad altre, in questa parte di legislatura, e che hanno riguardato ad esempio anche i conti della Regione. E’ stata impugnata, infatti, la parte di Finanziaria che destinava i Fondi dello sviluppo e coesione (fondi per gli investimenti) per la copertura della spesa corrente: il governo di Roma ha chiuso un occhio solo per il 2015, ma ha impugnato l’utilizzo per gli anni a venire. Impugnative che, in realtà, erano state tante e corpose anche quando a intervenire era il Commissario dello Stato. Il prefetto Carmelo Aronica ha infatti cassato in due anni e mezzo decine di articoli, perché incostituzionali. Adesso della verifica sulla legittimità costituzionale degli atti è incaricato Palazzo Chigi e la musica non sembra cambiata. Quella delle Province, infatti, è solo l’ultima delle riforme impugnate da Roma.

Le città metropolitane

La norma regionale taglierebbe fuori dalla corsa per la guida delle città metropolitane di Palermo, Catania e Messina i sindaci Orlando e Bianco. Ma proprio la scelta del governo e dell’Ars di procedere con una elezione “indiretta” (i sindaci dell’area avrebbero eletto il sindaco metropolitano) va in contrasto con la norma nazionale. Tra l’altro, la legge approvata dall’Assemblea non prevede il voto ponderato: la preferenza del sindaco di un paese di poche anime, insomma, vale quanto quella del primo cittadino della città più popolosa. Un principio ribadito anche per l’elezione della conferenza metropolitana, che corrisponde al Consiglio previsto dalla norma nazionale. Ma mentre in Sicilia la Conferenza sarà composta di diritto dai sindaci, nel Consiglio (quindi nel resto d’Italia) l’elezione è indiretta. Poi, la Sicilia ha tirato fuori anche un organo nuovo: la giunta, non prevista dalla Delrio. “In luogo dell’articolazione organica e funzionale – scrive il sottosegretario Bressa – prevista dalla legge n. 56 (la Delrio, ndr), basata su tre organi, è prevista un’articolazione basata su quattro organi. Inoltre, la suddivisione delle funzioni, oltre a non rispecchiare i principi stabiliti dalla legge statale, appare problematica rispetto alle connotazioni degli organi per diversi profili”. E i dubbi, tra le altre cose, riguardano la scissione di un organo in due (adunanza e giunta), il conferimento alla giunta di compiti che spetterebbero alla conferenza.

Liberi consorzi

Anche per i liberi consorzi, la Sicilia si è discostata, e di molto, dalla legge nazionale alla quale, scrive il governo romano, la Regione deve adeguarsi, trattandosi di riforma che interesssa anche la riduzione della spesa pubblica. Nel caso dei Consorzi, la criticità maggiore sta nella scelta di inserire una deroga che consenta ai Comuni di eleggere il presidente tramite una elezione diretta.

Le indennità

Doveva essere una riforma che avrebbe spazzato via i costi della classe politica delle ex Province. E invece, il governo regionale si è fatto “bacchettare” proprio sul tema delle indennità. Mentre, infatti, la legge nazionale prevede che le cariche di presidenti e componenti degli organi rappresentativi debbano essere esercitate a titolo gratuito, la legge regionale introduce una sorta di bonus che “estende” lo stipendio del sindaco eletto presidente, fino al livello stipendiale del sindaco del Comune col maggior numeri di abitanti. “L’articolo in esame – scrive Palazzo Chigi – non appare in linea con la vigente normativa nazionale in materia di razionalizzazione dei costi degli enti locali, tenuto conto che la gratuità degli incarichi espletati persegue l’obiettivo di ridurre la spesa pubblica corrente per il funzionamento degli organismi di area vasta attraverso una disciplina uniforme”.

Le elezioni, i rifiuti, i dipendenti

Ma i rilievi del Consiglio dei ministri non finiscono qui. È considerato incostituzionale anche un comma dell’articolo 18 che prevede che il presidente del seggio elettorale, ultimate le operazioni di voto “procede alla chiusura della sala ed alla sua custodia esterna, avvalendosi delle forze di polizia” . “Tale formulazione – si legge nei rilievi indirizzati al governo regionale – determina uno sconfinamento in ambiti rimessi in via esclusiva al legislatore statale, incidendo in una materia, quella dell’ordine pubblico e della sicurezza, riservata alla competenza dello Stato. Inoltre, – prosegue la nota – la disposizione regionale di cui trattasi, prevedendo il coinvolgimento di rappresentanti dell’apparato amministrativo dello Stato (le forze di polizia) in attività disciplinate in via diretta dalla Regione comporta un’invasione della potestà normativa regionale nelle materie relative all’ordinamento e all’organizzazione amministrativa di organi e uffici dello Stato”.

Incostituzionale, secondo il governo nazionale, anche l’articolo 27 nella parte in cui prevede che i liberi consorzi possano gestire la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti. Una decisione illegittima, secondo Roma, perché violerebbe l’articolo 117 della Costituzione. In pratica, la legge impone che questo tipo di servizio (“pubblico locale a rete di rilevanza economica”) vada svolto dagli Ato, che vanno individuati dal governo regionale e non possono avere una estensione inferiore a quella delle Province. Non possono essere i Comuni, insomma, a svolgere quel compito, nemmeno in forma consorziata. Stesso tipo di violazione è ravvisata all’articolo 33 che attribuisce alla Regione funzioni relative alla tutela dell’ambiente. Infine, sui dipendenti, il governo ha dato il “via libera” al mantenimento della posizione giuridica ed economica del lavoratore e l’anzianità di servizio: “nel presupposto che il mantenimento del trattamento economico in godimento alla data di trasferimento sia riferita esclusivamente alle sole voci fisse e continuative”.

Adesso inizia un vero e proprio braccio di ferro. Questi rilievi sono l’anticamera di una impugnativa che finirebbe per troncare la legge e, di fatto, bloccare le prossime elezioni, previste per il 29 novembre. “Torniamo a legiferare – chiede oggi il coordinatore regionale di Ncd Francesco Cascio – sulla riforma delle province per apportare i correttivi necessari alle gravi storture del testo, oggi contestate dal Consiglio dei Ministri, ma già ieri denunciate ad alta voce da Ncd, in fase della sua approvazione, attraverso un emendamento che mirava proprio a evitare le due criticità rilevate da Palazzo Chigi”. Una posizione, del resto, espressa anche dal presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone, che ha anche fatto intendere che la data delle elezione andrebbe quantomeno “sospesa”. Crocetta ha già fatto sapere di volere andare avanti, e di essere disponibile solo a qualche lieve modifica. Che potrebbe essere discussa già oggi, in un incontro che si terrà a Palazzo Chigi. Ma la legge, secondo il governo nazionale, è un pasticcio. L’ultimo pasticcio.


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