Da tre legislature almeno, rimbalziamo da un allarme rosso a una “operazione verità”. E il risultato, alla fine, è sempre lo stesso. A pagare saranno quelli che verranno. Intanto, è bene tenere su la baracca così com’è. Con tutti i fronzoli, anche in tempi magrissimi come questi.
È l’arte di spalmare i guai, fumo negli occhi dei siciliani. Anche oggi, oggi che si discute sulle responsabilità presenti o passate, oggi che si attende una specie di “resa dei conti” a Sala d’Ercole, il tema è sostanzialmente quello: in quanti anni possiamo rateizzare il disavanzo creato da altri?
E il punto, il nodo politico è proprio questo. E da questo giornale, umilmente invochiamo un cambio di visuale, un capovolgimento della questione. Sul passato, abbiamo detto la nostra: crediamo che trent’anni di politica scialacquona, clientelare, con picchi di colpevole irresponsabilità, abbiano creato la situazione attuale. Ma per il futuro, ecco la nostra richiesta, per il futuro immediato, cosa si intende fare?
Era rosso l’allarme ai tempi di Lombardo quando, in tanti lo ricorderanno, era più che un’ombra il “default” della Regione. Erano gli anni in cui le impugnative del Commissario dello Stato a Finanziarie sciagurate erano viste come un attentato all’autonomia della Sicilia. E su questo punto, in fondo, non cambiò molto dalle gestioni Lombardo-Armao (era lui l’assessore all’Economia in quegli anni) a quelle Crocetta-Bianchi e poi Crocetta-Baccei. Tanto è vero che alla fine di un braccio di ferro politico-costituzionale, al Commissario furono tolte le prerogative di verifica sulla legittimità delle leggi, per spostarle a Palazzo Chigi. Ma da allora, non è cambiato granché. Come dimostra la recente maxi-impugnativa al Collegato della Regione. Nel frattempo, però, sia Lombardo che Crocetta, attraverso i propri assessori all’Economia, ci hanno regalato le loro “operazioni verità” sui conti. A quelle, si è recentemente aggiunta la conferenza stampa del governatore Musumeci. Il risultato? Appunto, sempre quello: la colpa è degli altri. E il futuro?
Il futuro è diventato uno sgabuzzino pieno di cambiali. E non ci sorprenderemmo se anche nel prossimo giudizio di parifica, come già avvenuto in passato ad esempio in occasione della requisitoria dell’allora Procuratore generale Pino Zingale, e ancora nelle più recenti pronunce della magistratura contabile, si leggerà del “problema generazionale” che sta montando dentro i conti della Regione.
Perché anche oggi, che il tema del disavanzo-monstre di oltre sette miliardi, è emerso in tutta la sua concreta gravità (meglio togliere le leggi di spesa, ha deciso l’Ars), la questione ruota tutta attorno al quesito: in quanti anni possiamo spalmare questa somma? In quanti anni spalmare i nostri guai? Scelta necessaria, per continuare a vivere, ce ne rendiamo conto. Ma oltre a questo, che si fa?
E oggi, forse, è persino inutile dire se pesano di più i 5 miliardi di debiti lasciati da Lombardo a Crocetta (fonte Corte dei conti), o la capacità del governo di centrosinistra di far crescere quasi fino a raddoppiare questo debito (si legge sempre nelle Parifiche: oltre il 40 per cento di debiti in più, col governo Crocetta), o se di questo governo che si ritrova improvvisamente altri due miliardi di vecchio disavanzo e che viene accusato di non avere avvertito tempestivamente l’Ars che era meglio non spendere più un euro.
È un esercizio retorico, ormai, quello della ricerca delle responsabilità, che sono ovviamente condivise da governi regionali e partiti, da esponenti politici e governi nazionali che nel frattempo hanno chiuso i rubinetti.
Quello che preoccupa è il risultato di tutto questo, e anche la risposta che segue, da parte degli attori istituzionali. Il risultato è che questi “errori” ventennali, trentennali, saranno pagati da chi verrà nei prossimi dieci, venti anni. E non è giusto. Così come non è giusta la risposta del governo. E su questo, forse, ha ragione Gianfranco Micciché, che sbaglia però su un altro punto. Ha ragione quando dice che il presidente della Regione Musumeci avrebbe fatto meglio, nel corso di quella conferenza stampa, a dire ai siciliani: “Signori miei, adesso iniziano i sacrifici, perché la situazione è grave”. Solo quello. Sbaglia, Micciché, quando, specularmente, afferma che alla Regione servono nuove spese, indicando nella demagogia il vero problema della Sicilia. Perché se è vero che una Regione i cui dipendenti hanno un’età media che sfiora i sessant’anni non ha molte speranze di fronte alle sfide della modernità e che l’esigenza di immettere nuove forze nella pubblica amministrazione siciliana è sacrosanta, è anche vero che un ringiovanimento (ossia, un piano di nuove assunzioni) non può essere sostenibile se, di contro, non si compiono scelte politiche anche impopolari.
Ed è su questo punto che il governo manca. E rende la narrazione del disavanzo poco credibile. E anche in questo caso non ci meraviglieremmo se la Corte dei conti, in ottobre, puntasse il dito pure su questo. Quali sono le scelte del governo per ridurre le spese o aumentare le entrate? Oltre a invocare un “piano Marshall” per la Sicilia, formula logora e stantia quasi come il “turismo volàno di sviluppo”, non c’è traccia di nulla, in questo senso. Non c’è un piano per verificare quali siano le società partecipate realmente essenziali e quali no, non c’è un piano di spending review intelligente, togliendo di mezzo ciò che oggi appare come un accessorio assolutamente evitabile (qualche esempio? Ricostruzione di borghi fascisti, feste di cavalli, consulenti esterni, per iniziare dalle piccole cose…). Stesso discorso sul resto: sulla Sanità che parla lombardo, sugli enti vigilati, sui contratti per l’assistenza tecnica, sulle possibilità di investimenti virtuosi in Sicilia. Finora non c’è una idea, non c’è un progetto per restringere quel buco, che non sia sempre lo stesso: spalmare, spalmare i guai che hanno creato, ovviamente, quegli altri.