Nell’Ars del rinato spirito sicilianista per un pomeriggio si è tornato a parlare di autonomia. L’occasione è arrivata l’altro ieri con la discussione su un parere che Sala d’Ercole deve dare a un disegno di legge costituzionale in esame al Parlamento nazionale che riguarda la modifica degli statuti regionali da parte di Camera e Senato. Tre le modifiche proposte: passare da un mero parere a un atto che esprime un’intesa e quindi capace di vincolare il Parlamento nazionale; allungare da due a tre mesi i tempi utili per l’esame; il cambio del numero necessario di voti favorevoli per far passare il parere: dalla maggioranza dei componenti ai due terzi dei deputati. Non se n’è fatto niente, tutto è stato rinviato, malgrado il parere favorevole del governo. Uno stop dettato, a sentire gli interventi dei deputati regionali, proprio da un afflato autonomista. “Fa specie – ha detto Vincenzo Figuccia – vedere come dopo due mesi dal suo insediamento, la commissione statuto di quest’Assemblea inviti la deputazione tutta ad esprimere parere favorevole sul disegno di legge presentato da tre senatori sudtirolesi Durnwalder, Steger e Unterberger recante modifiche sulle procedure di revisione dello statuto. Non vi è traccia – prosegue – dei temi che dovrebbero solcare l’attività di questa commissione che ha “parcheggiato” insularità, zone ad economie speciali, defiscalizzazione dei carburanti e altre questioni cruciali tanto attese dal popolo Siciliano”. E anche Marianna Caronia ha parlato di norme che “possono trasformarsi nel grimaldello per scardinare i diritti dei siciliani”.
E così, il tema dell’autonomia e dei rapporti tra Regione e Stato torna a far discutere. L’impressione è che negli ultimi tempi, al netto dei frequenti proclami, l’autonomia speciale della Regione viva un momento di affanno. Basti pensare al caso emblematico delle Province, campo i cui la Regione ha provato a fare di testa sua, discostandosi dalla riforma nazionale. E subendo impugnative e decisioni sfavorevoli della Corte costituzionale. Una forzatura quella della Consulta? Qualcuno lo ha adombrato. Ma di sicuro c’è solo che la Sicilia alla fine ha solo perso un sacco di tempo, i commissariamenti negli enti di area vasta si sono protratti per un periodo inaccettabile e alla fine della fiera si dovrà comunque fare come dice Roma.
Alla Regione, da una parte non resta che la guerra delle carte bollate. E così il governo Musumeci dopo aver impugnato il bilancio dello Stato, ora va alla guerra anche sulla parifica della Corte dei conti, per contrastare decisioni che imporrebbero alla finanza regionale fardelli al limite del sostenibile. Nel frattempo, con la politica si cerca di mettere pezze, costruendo un difficile tavolo di confronto, avviato con lo Stato da Musumeci e Armao nei giorni scorsi, sempre sul tema della finanza regionale.
Intanto, però, in attesa di tempi migliori i carrozzoni regionali vanno a carte quarantotto e, con buona pace degli afflati autonomisti, la ricetta del momento è spesso e volentieri quella di stornare i dipendenti all’omologo statale. Vedi ad esempio la vicenda del Cas, con l’ipotesi di matrimonio con l’Anas, statale, tornata sugli scudi. O la travagliata storia di Riscossione Sicilia, con la prospettiva ancora tutta da costruire, di un transito dei dipendenti a Equitalia. Tra il dire e il fare ci sono di mezzo i soldi, le risorse, l’autonomia finanziaria. Senza la quale l’autonomia politica resta solo un compendio di belle parole.