Librino, la potenza di fuoco dei clan |Arsenali nelle mani della mafia - Live Sicilia

Librino, la potenza di fuoco dei clan |Arsenali nelle mani della mafia

Gli ultimi sequestri di pistole, mitra e kalashnikov dimostrano la pericolosità del clan Santapaola. Per accedere ai covi e prelevare anche una pallottola serve il "consenso" del reggente. La latitanza di Andrea Nizza complica alcuni equilibri.

nel mirino degli inquirenti
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CATANIA – Librino è una polveriera. Tra anfratti, edifici abbandonati, intercapedini e anche campi incolti sono nascosti arsenali da “utilizzare” in caso di necessità. Sono i mitragliatori l’arma che prediligono le organizzazioni criminali che “governano” tra gli stradoni della città satellite. Un potere di assoggettamento che si “alimenta” anche dalla potenza di fuoco che hanno a disposizione i gruppi mafiosi, molti dei quali gestiscono le piazze di spaccio.

Uzi, mitra ak47, skorpion. Sono queste le “fedelissime” armi della malavita di Librino. Armi da guerra, perfettamente conservate, che rappresentano la principale “riserva” di fuoco di un clan. E non si tratta di piccole raccolte di pistole, ma di armi dalla potenza micidiale. Il maxi sequestro di settembre dei carabinieri ha dimostrato proprio questo. Un arsenale da fare invidia a un esercito era occultato in un luogo sicuro, conosciuto solo dai fedelissimi del clan Nizza. E tra questi c’era Davide Seminara che ha deciso di indicare il luogo del covo agli inquirenti: una prova per conquistare anche la fiducia della magistratura.

Le indagini portano a scenari inquietanti: piccoli arsenali sono anche nella disponibilità dei gruppi di spaccio. Come l’ultimo sequestro operato dai carabinieri di Fontanarossa che hanno setacciato un campo incolto e abbandonato e hanno trovato alcune armi da guerra perfettamente funzionanti e, visto il munizionamento presente, potevano essere usati in qualsiasi momento. Mitra e pistole senza matricola e quindi con meno rischi.

La gestione delle armi da parte dei gruppi malavitosi ha delle regole precise. Intanto devono essere pochissime le persone che conoscono i covi degli arsenali e che possono averne accesso. Al capomafia o al referente del quartiere spetta la “decisione finale”. Quando un gruppo di spaccio ha “la disponibilità” di armi significa che “i vertici” hanno dato il consenso o hanno garantita una certa autonomia determinata da un preciso accordo criminale.

Il santapaoliano che in questo momento “ha l’ultima parola” sugli equilibri mafiosi a Librino è Andrea Nizza. Il rampollo dei fratelli trafficanti è latitante da oltre 8 mesi: per mantenere il “pieno potere” ha assoldato dei fiancheggiatori. La mappa degli arsenali è sotto il diretto monitoraggio di Nizza: qualsiasi azione criminale pianificata con il fuoco deve essere “autorizzata” dal capo. Le armi possono servire ai gruppi di spaccio per reperire “i fondi” per pagare le partite di droga da vendere: il referente chiederà il placet al delegato di Nizza che se ha ruoli di vertice potrà decidere, oppure invece dovrà “consultarsi” con il reggente.

Quando un gruppo di spaccio ha “la disponibilità” di armi significa che “i vertici” hanno dato il consenso o hanno garantita una certa autonomia determinata da un preciso accordo criminale.

La pax mafiosa a Librino sembra sia stata siglata: i clan si sono schierati uniti contro le forze dell’ordine per “garantirsi” la loro fetta nel mercato dello spaccio. Il fulcro delle entrate di liquidità delle consorterie mafiose catanesi: e Librino è tra i più fiorenti mercati della vendita di stupefacente.

Roccaforte di cocaina, eroina e marijuana: le armi servono per assicurarsi la piena omertà del quartiere. Ma in alcune occasioni le tensioni per la “droga” sono scoppiate nel sangue; come nel caso dell’omicidio di Daniele Di Pietro ucciso in un agguato un anno fa al viale Bummacaro dai fratelli Celso. Dopo il delitto si scatenò un’escalation di violenza inaudita: incendi e bombe rudimentali. Ma avere a disposizione armi porta anche a uccidere per motivi futili: una stupida questione di quello che viene definito “rispetto” da mafiosi di turno. Assassini. “Tu non sai chi sono io!”: è quello che si è sentito urlare Giovanni Di Bella. Il rigattiere si è permesso di “alzare la voce” contro Alessio Marino: la sua condanna è stata una crivellata di pallottole sul pianerottolo di casa.

 

 

 


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