AGRIGENTO – Anche quel licenziamento era illegittimo. Così, il tribunale di Agrigento ha imposto all’Asi di Agrigento e quindi all’Irsap il reintegro del dirigente Rosario Gibilaro, e anche il pagamento degli stipendi riferiti ai mesi nei quali il dipendente è stato costretto a restare a casa.
La sentenza del tribunale fa il paio – e in effetti è molto simile anche nei contenuti – con quella che ha disposto, due settimane fa, il reintegro di un altro dirigente, Salvatore Callari. In entrambi i casi il giudice ha sancito un principio: non poteva l’ex commissario dell’Asi di Agrigento e attuale presidente dell’Irsap Alfonso Cicero a disporre quei licenziamenti che avrebbero, stando alla sentenza, motivazione “pretestuose” e un carattere “al limite del discriminatorio”.
Gibilaro, licenziato in tronco nell’agosto del 2012 dall’allora commissario Cicero, con pesanti accuse legate a “negligenze” che avrebbero in qualche modo favorito imprese in odor di mafia, aveva già avanzato un ricorso, respinto. Ma in appello il Tribunale di Agrigento ha sovvertito quella decisione. E i motivi della revoca del licenziamento sono diversi. A cominciare da quelli relativi ai poteri in mano all’allora Commissario straordinario Cicero. La legge, infatti, si evince dalla sentenza “prevede che questo possa adottare atti di ordinaria amministrazione tra cui non rientra indubbiamente il potere di licenziare un dirigente. Ancor più considerando – scrivono i giudici – che al momento dell’emanazione del provvedimento impugnato il Commissario straordinario agiva in potere di prorogatio”.
Ma un altro “vizio” alla base del licenziamento sta proprio nel soggetto che ha emanato il provvedimento. Cicero, insomma, non poteva licenziare Gibilaro innanzitutto perché, come dispongono le norme, “competente è l’Ufficio dei procedimenti disciplinari”. Un ufficio composto, all’Asi di Agrigento, da tre dipendenti. L’istruttoria tra l’altro – che sarebbe ulteriormente viziata dal fatto di essere stata portata avanti da un unico dipendente, e non da un organo collegiale – aveva concluso che i fatti contestati a Gibilaro, “non integrano, in atto, circostanze che rivestono rilevanza disciplinare sanzionabile”. Insomma, non c’era nessun comportamento “sanzionabile”, ma il dirigente ha passato la “patata bollente” al Commissario straordinario.
“L’istruttoria – scrivono i giudici – ha escluso la sussistenza di una qualsiasi forma di responsabilità disciplinare, ma, ciò nonostante, il Commissario straordinario in carica, ha ritenuto di recedere con effetto immediato dal rapporto di lavoro con lo stesso, ravvisando, nel caso in esame, la sussitenza di fatti idonei a ledere in modo irreversibile il rapporto fiduciario che deve sussistere necessariamente tra Pubblica amministrazione e dirigenti”.
Una motivazione non sufficiente, secondo i giudici. “La ricorrenza della giusta causa del licenziamento – scrivono infatti – è da correlare alla presenza di valide ragioni della cessazione del rapporto lavorativo, come tali apprezzabili sotto il profilo della correttezza e della buona fede, sicché non giustificato è il licenziamento posto in essere per ragioni meramente pretestuose, al limite della discriminazione, ovvero anche del tutto irrispettoso delle regole procedimentali che assicurano la correttezza dell’esercizio del diritto”. Così, Gibilaro deve essere reintegrato a lavoro. E l’Asi di Agrigento confluito nella “gestione separata Irsap”, dovrà risarcire al dirigente gli stipendi non erogati dal settembre del 2012 a oggi.