L'illegalità in nome della Madonna| La mafia nella festa religiosa - Live Sicilia

L’illegalità in nome della Madonna| La mafia nella festa religiosa

Piazza Ingastone e la chiesa della Madonna di Lourdes

È desolante quanto scoperto dai carabinieri nel rione Zisa di Palermo

 

PALERMO – La partecipazione religiosa, quella autentica, fa da schermo agli affari sporchi. Il folklore chiassoso “protegge” l’illegalità diffusa, che non ha neppure bisogno di nascondersi. Le feste di quartiere, siano esse celebrate in nome di Dio, della Madonna o dei Santi, sono una zona franca. Qualche transenna, o poco più, demarca un luogo dove chi sta al di qua è autorizzato a sentirsi in un regno senza regole. Tutto o quasi, è consentito ed è normale (?) che si imponga la legge del più forte. E nelle borgate i più forti, e rispettati, sono ancora i mafiosi.

Consenso sociale, dimostrazione di forza e soldi. Altro che fede: i mafiosi sbavano. Le indagini sul mandamento di Porta Nuova consentono di affermare che i festeggiamenti in onore della Madonna di Luordes, nella omonima chiesa in piazza Ingastone, erano sotto il totale controllo mafioso. I carabinieri del Nucleo investigativo hanno monitorato l’edizione del 2016. L’informativa è confluita nell’inchiesta sulla nuova cupola appena chiusa dalla Direzione distrettuale antimafia palermitana.

Filippo Maniscalco, longa manus di Francesco Arcuri (entrambi arrestati lo scorso marzo) ne parlava con Alessio Comandè, fratello di Stefano che fino al suo arresto ha ricoperto la carica di superiore della confraternita delle “Anime sante”. Alessio “Alex” Comandè faceva l’elenco degli ambulanti, rigorosamente abusivi, ai quali era stato concesso di vendere panelle e crocché, milza, stigghiole, calia e semenza, birra, panini, cozze e polpo durante la festa. “Paoluzzu”, “Bambolino”, “Sacchiteddu”, “Gioacchino”, “Orazio”, “Antonio” avevano ricevuto il via libera.

Per organizzare una festa in grande stile servivano i soldi. Si diedero tutti da fare: “… piattino e raccogliere come i pazzi… riffate… la paghiamo noi questa giornata di festa”. L’idea era quella di aggiungere una terza serata alle due inizialmente previste. Serviva l’autorizzazione di un pezzo grosso. “Perché non ci metti una buona parola per fare la terza sera?”, chiedeva Comandè a Maniscalco, riferendosi ad Arcuri. Se Arcuri avesse dato il benestare “ti giuro a mia madre – aggiungeva Comandè – subito chiudo due arriffate da cinquecento euro… prendo questo bancone di ferro lo metto al centro e chi passa deve buttare soldi qua sopra”.

Una sera di ottobre Maniscalco fece visita a Francesco Pitarresi, arrestato nel 2014 e detenuto ai domiciliari. Era il momento di fare i conti: “Diciassette mila euro se ne sono andati… i permessi duemila euro… solo Galletta ha voluto seimila e 500 euro… Vezzosi duemila e cinque… 500 il palco… mille cinquecento gli archi”. I soldi raccolti – la parte più cospicua era servita per pagare i cantanti neomelodici – li aveva conservati “Maurizio”.

C’era un rigido tariffario: “Tre euro a cinquanta” a cassa di birra venduta, e di birra se ne beve troppa in queste occasioni (“Cinquecento casse”). Altro denaro era stato guadagnato con le riffe alla Zisa, al Capo e a Borgo Vecchio. “Fighettino, Stefano, Antonio, Salvo, Francesco, Fabio, Giorgio, Murizio, Valentino”: un piccolo esercito di arriffatori si era dato un gran da fare. Al Capo avevano fatto il pienone e gli erano rimasti “5000 euro di guadagno”. “Altri mille euro” li avevano raccolti “con il giro delle baracche”.

Al netto delle spese i soldi venivano poi ripartiti fra i boss. Ad esempio a Gaspare Rizzuto andavano consegnati 5.000 euro. A proposito di Rizzuto e del suo capo, Gregorio Di Giovanni, guida dell’intero mandamento e presente alla riunione della nuova commissione. All’interno dell’abitazione di Pitarresi è stata intercettata una conversazione in cui si parlava dei preparativi della processione del Venerdì Santo del 2017, sempre nella chiesa della Madonna di Lourdes. “Vito il fioraio” si doveva occupare degli addobbi. Nino Comandè, altro fratello di Stefano, voleva che lavorasse pure un altro fornitore. Vito ne avrebbe discusso prima con Rizzuto e poi con Di Giovanni. A riferirlo era lo stesso commerciante: “Ho annagghiato a Gregorio e ci ho parlato… come i confrati non mi vogliono?… Gaspare sono un amico vostro sempre a disposizione qualsiasi cosa… come mi state difendendo voi altri?”. Perché durante la festa religiosa si fa anche questo, si proteggono interessi che nulla hanno a che vedere con la fede. E una transenna serve solo a delimitare una zona franca, senza regole.


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