L'importanza di chiamarsi Vito - Live Sicilia

L’importanza di chiamarsi Vito

Le "rivelazioni" di Massimo Ciancimino
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Perché parla Massimo Ciancimino? Perché parla il figlio di don Vito rivelando anche retroscena raccapriccianti, come le punizioni comminategli dal padre che lo legava a una catena? Se vale il principio della presunzione di non colpevolezza, invocato da molti, parallelamente a esso viaggia la presunzione di buona fede. A maggior ragione di fronte a dei pubblici ufficiali come i magistrati. Così la risposta all’interrogativo ha un nome e un cognome: Vito Ciancimino, il figlio di Massimo.
Don Vito nei suoi ultimi scampoli di vita avrebbe avuto un rapporto più aperto col figlio Massimo, al quale avrebbe confidato (quasi) tutti i suoi segreti. Uno parlava, l’altro scriveva. L’idea era quella di fare un libro. Perché? “Lui diceva che doveva essere conservato a futura memoria di chi si chiamava Vito Ciancimino – racconta Massimo – dice: ‘se ci sarà uno di voi che chiama il figlio…’, perché fondamentalmente lui non l’aveva chiesto mai a nessuno di chiamare, perché dice, ‘capisco che è un nome ingombrante, però se c’è uno che lo farà, penso che sia giusto e doveroso che questo patrimonio di appunti, di cose, sia di questa persona, per dare una realtà storica e una visione diversa da quello che è Vito Ciancimino”.
L’ex sindaco e assessore del sacco di Palermo, quello che ha abbattuto le ville liberty in centro per farci palazzoni di cemento armato, sosteneva – secondo quanto racconta Massimo Ciancimino – di essere “il figlio di un sistema”, “in mezzo a un sistema” che lo costringeva e lo agevolava ad operare nella maniera in cui ha fatto. E si dannava. Perché la magistratura puntava l’attenzione sulla classe politica invece di rivolgerla verso “la Palermo per bene che agevolava il Provenzano e dove il Provenzano si muoveva molto bene”. Perché ‘Binnu u tratturi’ “godeva di un trattamento di favore da parte di tanti conosciuti come ‘Palermo Bene'” rivela Ciancimino jr. Quella classe contro cui ora si è rivoltato.
“Non ne potevo più dell’ipocrisia dei palermitani. Quelli come Cuffaro che hanno fatto finta di non conoscermi – dice Massimo in un’intervista a ‘Il Fatto’ spiegando la sua scelta di parlare – Ce l’ho con quelli che prima facevano la fila per venire a Panarea sul mio elicottero e dopo l’arresto, fingevano di non conoscermi. L’avevo già provato nel 1984 – continua – quando era stato arrestato mio padre ma quando l’ho visto sulla pelle di mio figlio, che non veniva più invitato alle feste, e di mia moglie non ce l’ho fatta”.
E ha parlato, quando le domande gli sono state poste. Ora ha una vita blindata e collabora con le procure di mezze Italia mentre è stato condannato in appello per riciclaggio. Ora però facciamo in modo che il piccolo Vito Ciancimino, nipote del defunto “Don” non debba scontare anche questo peso e su di lui spegniamo ogni luce.


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