"Niente funerale ai mafiosi? |Un decreto incomprensibile" - Live Sicilia

“Niente funerale ai mafiosi? |Un decreto incomprensibile”

L'avvocato catanese critica il vescovo di Acireale per il suo decreto che vieta le esequie ai condannati per mafia. "E per i pedofili?", chiede tra l'altro il legale.

Lettera aperta al vescovo acese
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CATANIA. Qualche giorno fa il vescovo di Acireale monsignor Antonio Raspanti ha annunciato “un decreto di privazione delle esequie ecclesiastiche per chi è stato condannato per reati di mafia in via definitiva”. Al prelato scrive una lettera aperta l’avvocato Giuseppe Lipera, patrocinante in Cassazione, che per conoscenza invia la missiva anche a Sua Santità Papa Francesco. Sollevando le sue perplessità. Ecco il testo.

 

“E’ apparsa su tutti i networks nazionali (e forse anche oltre cortina) la notizia del Suo decreto che proibisce i funerali per chi è stato condannato per reati di mafia e non si è pentito. Mi sono subito chiesto e risposto: se un vescovo ha il diritto di promulgare provvedimenti che avranno efficacia, se mai l’avranno, per i soli abitanti della diocesi di Acireale, tale è la sua ristretta competenza territoriale, non vedo perché non possa esprimere liberamente il mio pensiero, io che sono abilitato a difendere su tutto il territorio nazionale e volendo anche in Europa. Per cui, rimasto a dir poco esterrefatto dal Suo atto “normativo”, pur consapevole che mi attirerò chissà quanto odio e antipatia da parte dei tanti perbenisti e benpensanti, intendo esternare alla S.V. la mia più sincera critica. Sia chiaro, innanzi tutto, che nessuna persona civile, corretta e onesta è a favore della mafia o della criminalità in genere; ciò non toglie però di considerare che il Suo provvedimento sia assolutamente inaccettabile e incomprensibile, perché ha assai poco veramente di cristiano.

Fu proprio Lei peraltro, egregio vescovo, a dire tempo fa ai giornalisti questa frase: “una condanna, e le pene corrispondenti alla condanna, sono per la redenzione dell’uomo, tutti” (cfr. 31.03.12 – Incontro informale del vescovo di Acireale Antonino Raspanti con i giornalisti per parlare del presunto caso di pedofilia che coinvolgerebbe don Carlo Chiarenza, ex parroco della chiesa di San Sebastiano, accusato di pedofilia dal ricercatore Teodoro Pulvirenti, all’epoca dei fatti quindicenne, V. in http://www.youtube.com/watch?v=4bf5p0ohflE). Come mai adesso questa illogica contraddizione e perché quindi questa differenziazione a seconda dei reati di cui si è accusati? Forse la pedofilia è meno grave della mafia? E chi commette uno o più omicidi? Per caso appartenere ad una associazione mafiosa è più grave di commettere un assassinio? E’ giusto che un prete possa lanciare anatemi di condanna contro chi commette reati turpi, ma proibire i funerali ad un morto che cosa c’entra? Che senso ha? Pensa veramente che ci saranno mafiosi che, dopo questa minaccia del vescovo, lasceranno “Cosa Nostra” sol perché vogliono garantirsi un funerale in Chiesa? E con quale criterio la diocesi acese stabilirà di eseguire una simile castigo? Occorrerà una sentenza passata in cosa giudicata o basterà quella di secondo grado oppure il mero rinvio a giudizio? E se, pur condannato, un uomo è innocente che si fa? La chiesa di Dio si affiderà ciecamente al giudizio degli uomini ovvero a quello che Lei definisce “competente Tribunale civile”?

Che significa poi quel finale inciso del decreto “Presentandosi qualche dubbio, si consulti l’Ordinario del luogo, al cui giudizio bisogna stare”? Decide la Chiesa, in composizione monocratica, se le esequie si facciano comunque oppure se si applicano le sanzioni giuridiche ecclesiastiche? Caro vescovo, la mafia, in quanto fenomeno criminale, è certamente assai spregevole, ma la si combatte e la si contrasta con la prevenzione (pensi a quanti ragazzi Don Bosco salvò togliendoli dalla strada) o con la repressione, non col divieto del sacramento. Io anni fa difesi un medico che in primo e secondo grado venne condannato per favoreggiamento mafioso, poi in Cassazione fu assolto; e se fosse morto tra il secondo grado ed il giudizio di legittimità che cosa sarebbe successo? Avremmo forse ripreso la sua bara dal cimitero per celebrare il funerale in chiesa?

Fortunatamente Enzo Tortora morì nel 1988, dopo l’assoluzione definitiva, perché se fosse morto nel 1986, con sul groppone una condanna a dieci anni di reclusione per associazione mafiosa finalizzata al traffico di stupefacenti, col “decreto Raspanti” la sua salma non sarebbe potuta entrare in chiesa; no scusate, Tortora non c’ entra perché mori a Milano non ad Acireale. Mi pare davvero assurdo tutto questo! Si abbia il coraggio di attaccare e di respingere i mafiosi quando sono vivi e feroci, non da morti, quando ormai non possono più fare del male a nessuno; e poi la morte non ci eguaglia tutti?

Non smetterò mai di dire che siamo in crisi in Italia, lo sappiamo tutti, e non solo per colpa della finanza o dell’economia; la è crisi istituzionale, sociale, politica, morale, religiosa e culturale, per cui credo che sia utile che ognuno torni nei suoi ranghi e si occupi bene degli affari di sua competenza, pertanto basta con la supplenza da tutte le parti: il governo amministri lo Stato, il parlamento faccia le leggi (se occorre farne, perché meglio sarebbe che si occupasse di abrogarne tante), il magistrato giudichi serenamente e saggiamente, la polizia e i carabinieri si occupino di contrastare la malavita e i preti facciano i preti, usando magari omelie, scomuniche e maledizioni se occorre: la giustizia terrena, in nome del popolo, giudica gli uomini, la giustizia della chiesa, in nome di Dio, non condanni i morti, che non si possono difendere né appellare.

Ma Lei si immagina se domani un decreto del Ministro alla Sanità disponesse il divieto di ricoverare mafiosi negli ospedali o imponesse ai farmacisti di non vendere più medicine a queste persone pregiudicate? Oppure un provvedimento legislativo secondo cui gli avvocati non potrebbero più difendere chi sia accusato di mafia? Magari pedofili o assassini sì, ma mafiosi mai? Ci ripensi caro Vescovo, e rifletta serenamente, ma senza perdere troppo tempo: purtroppo, egregio Vescovo, quel Suo decreto un danno grave lo ha già fatto perché per un paio di giorni si continuerà a parlare della Sicilia e dei siciliani in genere solo in termini di mafia e Lei che è siciliano come me, anche se sicano e non siculo, non sarà contento di questo, perché come me, anzi meglio di me, certamente sa che in quest’Isola la maggior parte della gente è onesta e generosa e non ha nulla a che fare la mafia.

So di andare controcorrente, ma proprio il Santo Padre ha recentemente detto, all’Angelus di domenica 23 giugno 2013, “non abbiate paura di andare controcorrente” e anche per questo Le ho scritto, pur consapevole di suscitare le Sue ire ed il Suo disappunto, però mi creda, mentre leggevo del suo decreto antiesequie di tipo mafioso, mi è venuto spontaneo pensare ad un mio assistito che compie ottantadue anni tra due mesi e che è stato condannato definitivamente per concorso esterno mafioso, dopo un calvario durato appena appena diciassette anni (cioè dal 1992 al 2007), dopo una condanna, poi un’assoluzione, poi un annullamento, poi una condanna ed infine un rigetto della Cassazione. Parlo, forse lo avrà capito, di quel Bruno Contrada (inquisitore fu l’ex P.M. di Palermo Antonio Ingroia); mi creda, Bruno Contrada non si pentirà mai perché ritiene di essere innocentissimo (ed io gli credo), però è molto religioso e credente, nonostante quanto abbia subito e i tre tentativi di revisione del processo siano andati a vuoto, e mi consolavo pensando che per fortuna, non risiedendo nel territorio della diocesi di Acireale, non avrà, allo stato almeno, da che temere.

E poi scusi un’ ultima domanda: la salma del mafioso morto di Acireale non andrà in Chiesa, ma quella di Catania o di Taormina sì? Non basterà spostare il luogo del funerale per arginare il divieto imposto dal decreto? Oppure se un mafioso di Acireale muore in un ospedale a Catania anziché a casa sua che succede? Mi sembra di ricordare quando negli anni ’80 se un persona faceva un assegno a vuoto a Giarre per alcune centinaia di mila lire ed era recidivo rischiava anche la reclusione oppure due anni di casa di lavoro, mentre il Pretore di Milano, per un assegno a vuoto di cento milioni di lire emetteva decreto penale di condanna ad una multa, cioè una semplice pena pecuniaria; questi casi noi legum periti li definivamo “giurisprudenza geografica”. Mi pare che il Suo decreto agisca allo stesso modo o mi sbaglio? Tornando a Sua Santità, sento una voce chiedersi: “ma Papa Francesco sa del suo decreto”? Boh! Se mi consente, Lo informo ora io, vediamo Lui che ne pensa”.


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