Lo splendore del niente e altre storie - Live Sicilia

Lo splendore del niente e altre storie

La "autobiografia traslata" di Maria Attanasio.
INCHIOSTRO DI SICILIA
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3 min di lettura

Fu Elvira Sellerio ad invogliare la poetessa calatina a scrivere storie, ossia a superare il passaggio arduo dalla poesia alla prosa. Perché, come dice Riccardo Duranti, la poesia sta alla prosa come la grappa sta al vino, come le fontane stanno ai fiumi.

Anche se il titolo tradisce la vocazione primaria della scrittrice, Maria Attanasio attraverso l’immemore genealogia delle madri accoglie fra le sue pagine storie di donne ribelli su cui l’ombra del tempo aveva lasciato solo silenzio.

Storie minori che non fanno la storia, come tante. Storie fuori archivio che irrompono nel secolo dei Lumi e che la scrittura rammenda con l’imperio della presenza.

Maria Attanasio ci parla di un’autobiografia traslata che consente a queste voci d’insediarsi in lei, di fare dimora nel suo inchiostro.

La vita è bella solo se raccontata. Dentro le parole non c’è freddo, né carestia, né paura: gli uomini possono soffrire senza dolore, mangiare senza pane, morire senza morte.

L’incedere narrativo è ancorato alla ricerca storica e diretto, prevalentemente, verso un solo luogo: Calacte, nome di un antico sito siciliano.

Sette memorie tutte legate al rogo o al focolare entrambi, parimenti, culla della disobbedienza.

Brucerà come una torcia Catarina, insieme alla sua neonata, per salvare il marito dalle vampe di una baracca andata in fumo dopo il terremoto. Senza vossia non c’è mondo! Nell’artiglio incandescente dei suoi ultimi attimi, distintamente, la folla percepisce quest’ultima volontà d’amore.

L’eccentrica Francisca, con pubblico e mai visto scandalo, indossa chausi, chausuna, rifiutando di fare i domestici travagli delle femmine per sopravvivere, lavorando nelle campagne.

Fimmina intra e masculu fora, ambigua figura dell’essere, viene ritenuta strega per aver infranto un codice millenario. Saranno le fiamme e il dolore delle fiamme che per un attimo ustionano la mente dell’inquisitore a legittimare pubblicamente la sua doppia identità.

Annarcangela, la donna pittora, ricompone la polvere di una sacra effige, miracolosamente e in stato di trance, mentre affiora la memoria di Donna Ignazia Palmeri a cui la scrittrice dedica il passo più vivido della sua poesia. La parola si rompe in versi. Ignis: già nel nome custodisce il senso del fuoco. Donna di lucido intelletto dice un no intransigente alla vita sostenendo la radicale affermazione del niente. L’ingovernabile fiamma che impianta la sua coscienza muta nell’agonia minuziosa del femminile.

Così fino ai frammenti di un’altra microstoria che, risalendo dall’infanzia, eccitano papille gustative e succhi gastrici fino al processo di Giovanna Bonanno, la vecchia dell’aceto, che riparava tanti dissidi familiari con pozioni mortali.

U Signuri ci possa arrifriscari l’armicedda – con questa raccomandazione veniva battezzato il coniuge intemperante alla felicità della donna.

E ancora Levia, creatura di cristallo e di puro eros che, come una cavalletta leggera e fuggevole, transita nell’esistenza. Levia aveva intrecciato nuovi ed effimeri amori: vibrava e correva, controvento confusa al grano, al sesso dell’amante. Sommersi nell’immemore presente l’incendio, la fuga, il nero gorgo.

Rimangono sulla lingua queste storie che nessuno ha narrato. Potevano essere risolte in poemetti. E, in qualche modo, vi somigliano in una poetica collettiva che la disobbedienza raccoglie in unico volume.

Sono la sciara del matriarcato siciliano: forti d’anima, eppure vulnerabilissime. E, dunque, mutilate, spaventose in un istinto che le conduce verso il non essere sociale.

Il genere maschile le subisce come apostasia, come condanna, come spirituale alleanza, come carnale e paritaria compagnia, lasciandole fuori dal tracciato esistenziale della pacata rassegnazione, dei ruoli del ricatto dovuti a posizioni invulnerabili.

Donne di unica fonte, di identica volontà, di difforme bellezza, insieme costituiscono una compatta silloge a firma di una struggente lirica femminile. Di storia e di carne, come il verso richiede.

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