Lo strano patto del Pd - Live Sicilia

Lo strano patto del Pd

Un patto tra nemici per portare il giovane Raciti alla segreteria. Tra mal di pancia interni, sospetti di patti romani e prospettive di rimpasto imminente. Ecco gli strani giorni del Pd siciliano.

Il congresso
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PALERMO – Un tempo la chiamavano realpolitik. Oggi ne anche la si chiama più, al tempo dell’impegno post-ideologico e della sopravvivenza politica a tutti i costi. E tutto, o quasi, passa in cavalleria con un’alzata di spalle, come il più banale dei dettagli. Prendete il Pd siciliano, per esempio.

Sconquassato da anni da divisioni interne con toni da guerra civile serbo-croata, diviso in correnti l’un contro l’altra armate, tra anatemi, seggi occupati e reciproche sputazzate, il Partito democratico all’improvviso s’è svegliato unito. Nel nome di un patto tra correnti, per spedire alla segreteria il giovane dalemiano Fausto Raciti, nome sponsorizzato dall’area guidata da Mirello Crisafulli. Sì, quel Mirello, politico astuto e di vaglia, che fino all’altroieri il Pd nazionale riteneva addirittura impresentabile, tanto da infliggergli l’onta di una epurazione last minute dalle liste, alla faccia dei suoi elettori che lo avevano votato in massa alle primarie. Quello stesso Mirello contro il quale Davide Faraone, rottamatore della prima ora e massima autorità del verbo renziano in Sicilia, si presentò a Enna a occupare il seggio delle primarie, accusandolo di “gestire il partito come la repubblica delle banane”. “Se continua così, sarò costretto a denunciarlo per stalking…”, commentò Crisafulli. Da allora, certo, è passata una vita, la bellezza di cinquanta giorni. Che sono bastati a Faraone e Crisafulli per presentarsi insieme, senza imbarazzi, come big sponsor del giovane Fausto Raciti, deputato nazionale (saltò le ultime primarie paracadutato da Bersani nel suo listino) e leader dei giovani democratici, candidato super-favorito alla segreteria regionale del partito.

Lo stalker e la vittima, il presunto impresentabile e il suo censore, appassionatamente a braccetto nel nome dell’unità del partito. Che poi, su cosa quest’unità debba concretizzarsi, se non – denunciano i (pochi) avversari – nel concedere a tutte le correnti uno strapuntino in giunta, questo ancora non è ben chiaro (anche se ufficialmente, “il rimpasto non ci interessa” ha subito detto Raciti, ci mancherebbe).

Qualche maligno ha pensato piuttosto che la remissiva posizione dei renziani siciliani, pronti non a concordare coi cuperliani un candidato ma addirittura ad accodarsi a quello già scelto il giorno prima dai dalemiani di ferro, sia il prezzo da pagare da Renzi per una navigazione romana più tranquilla sulla legge elettorale, dopo le bizze di Cuperlo e compagni. Illazioni.

Quel che è certo, è che il Pd siciliano, senza l’ombra di un passaggio di chiarimento, è passato dai coltelli al grande abbraccio in un attimo. Perché, se l’eccessiva litigiosità interna dei democratici è stata certamente un disvalore, la loro repentina svolta quasi francescana ha lasciato quanto meno spaesati. Come vedere Faraone e Crisafulli insieme. Con Mirello king maker assoluto, visto che il tentativo dei renziani di scegliere un altro nome (Antonio Saitta) comunque nel campo dei cuperliani, è stato stoppato, raccontano, dal veto dell’ex senatore ennese. Faraone, Crisafulli, ma anche Beppe Lumia, leader del Megafono. Contro il quale Crisafulli si rivolse pochi mesi fa ai probiviri del partito. A proposito del quale Antonello Cracolici, altro pilastro del patto “unitario” maturato nei giorni scorsi, parlò di bigami e poligami. Chissà, per dire, che spettacolo sarà la preparazione delle liste di Raciti a Enna, dove i puristi di rito crisafulliano hanno ingaggiato uno scontro all’ultimo sangue e tessera coi megafonisti fedeli a Lumia.

Accade questo e altro in questi strani giorni del Pd siciliano. Dove il segretario uscente, dopo quattro anni di guida del partito, si veste dei panni di ribelle anti-establishment denunciando il giochino di Palazzo. Lupo, che proprio dalla litigiosità del partito in questi anni è stato provato, tenta di rovesciare il tavolo, puntando sui voti della corrente Areadem ma anche su quelli degli orfani dei defilati Genovese e Papania, una miscela anti-sistema abbastanza originale.

Intanto, l’operazione che ruota attorno alla candidatura Raciti è andata di traverso a diversi renziani (Fabrizio Ferrandelli sembra tutt’altro che entusiasta). Tanto che dagli ambienti del Big bang è venuta fuori la candidatura di rottura di Antonio Ferrante. Candidatura di disturbo, come quella di Giuseppe Lauricella, che pescherà tra i voti cuperliani. E poi c’è Antonella Monastra, in corsa per l’area Civati, un corpo a se stante del partito, allergico a patti e intese. Cinque candidati, alla fine, alla faccia della soluzione unitaria, il totem che ha sdoganato il patto tra eterni nemici.

I pronostici, viste le forze in campo, sorridono al giovane Raciti e allo strano patto tra correnti, salvo che gli sfidanti (Lupo in testa) non guastino la festa impedendo al giovane onorevole di raggiungere il cinquanta per cento. Poi, dovrebbe essere il tempo della pax con Crocetta, nella speranza che dopo tante incomprensioni dal tutti contro tutti nasca qualcosa di buono per i siciliani. E sarà il tempo del rimpasto, che nessuno dice di volere ma che tutti, dentro e fuori il Pd, considerano inevitabile. Possibilmente sventando, nel frattempo, il disastro del default della Sicilia. Fosse solo perché non lascerebbe più niente da gestire, dopo tanta attesa, alle correnti democrat.


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