CATANIA – La voce è ferma. L’analisi chiara a tal punto da non concedere spazio a qualsiasi altra interpretazione. Province subito e imboscate a Sala d’Ercole che sarebbero da evitare attraverso alcuni accorgimenti strategici che ha suggerito allo stesso governatore Schifani.
Raffaele Lombardo, leader e fondatore del Mpa, non scansa le questioni iscritte sull’agenda sempre rovente della politica siciliana. Lui che presidente della Regione lo è stato nemmeno molto tempo fa, conosce bene i percorsi e le insidie di una politica isolana che resta in perenne equilibrio tra le tentazioni del gattopardismo e l’ambizione di rilanciare finalmente le sorti della “nazione siciliana”.
Sullo sfondo, le ormai imminenti elezioni europee.
Presidente, alla tornata di giugno sosterrete dunque la Tardino?
“Guardi, è tutto da definire. C’è questo patto federativo con la Lega – c’è? – e dobbiamo ancora cominciare a parlare di liste e candidati”.
Quando accadrà?
“Le dico con sincerità che non lo so. Non dipende da me. Quando sarò invitato a parlarne, ne parleremo”.
È vero che avete posto un veto ad una candidatura della Dc di Cuffaro.
“È falso. Nessun veto in casa altrui. Non si tenti di farmi litigare con Cuffaro. Non funziona”.
A proposito di Lega, ci sono invece pessimi rapporti col vice-presidente della Regione Luca Sammartino?
“Beh, diciamo che non ci sono rapporti. E quindi non ci sono cattivi rapporti”.
Rientra tutto negli equilibri maturati all’interno del partito?
“Del loro partito. Perché il mio partito non è la Lega. Noi abbiamo il nostro movimento e loro sono la Lega: con i loro problemi, la loro dialettica interna, le loro vicende nelle quali ovviamente non entriamo e non mettiamo il naso”.
Con Schifani, invece, come va? Nei giorni scorsi avete un pò fatto il punto della situazione.
“Posso definire sicuramente buoni e di confronto continuo i nostri rapporti. Ci siamo sentiti spesso, ha chiesto il mio punto di vista su alcuni argomenti e gliel’ho dato, sempre costruttivo”.
Su cosa in particolar modo?
“Io gli ho detto che, il più presto possibile, deve dar vita ad un tavolo politico che affronti periodicamente dai più piccoli problemi a quelli di prospettiva per evitare quegli inconvenienti che si sono verificati in aula”.
Un suggerimento che è stato recepito?
“Ma credo di sì perché è indispensabile che questo avvenga. È un modo che hanno le forze politiche di far capire cosa si pensi delle leggi da approvare e degli atti amministrativi da adottare, altrimenti continueremo ad assistere ad incomprensioni, conflitti e con un serio rischio di paralisi”.
Com’è successo, ad esempio, per le province.
“Io credo che, più di noi autonomisti, non ci sia nessuno che chieda di tornare all’elezione diretta degli organi delle province. Se ci si fosse incontrati, sarebbe emerso che quasi tutti i gruppi politici erano contrari a votare a giugno, lo stesso giorno delle elezioni europee. Poi c’è l’incognita della legge Delrio che, se la si supera con un passaggio del parlamento nazionale, si affronterebbe tutto con più serenità.
Si può approfittare per far tornare in aula questo benedetto disegno di legge per ridefinire i rapporti tra le istituzioni regionali, le province e i comuni.
Ho sempre sostenuto che la Regione è un pachiderma, carico di troppe risorse e poteri da rischiare l’immobilismo. È indispensabile che devolva all’ente intermedio un pò di competenze che vengono meglio esercitate sotto l’occhio dei cittadini. Per dare risposte più rapide ed efficaci. Pensi ad energia, acque irrigue, forestali”.
E, secondo lei, i cittadini quando torneranno a votare per le province?
“Io le dico che non si può più tirare la corda. Non è più consentito lasciare in campo i commissari che, tra l’altro, oggi sono tutti dirigenti dei dipartimenti regionali e quindi non hanno manco il tempo di badare alle loro incombenze palermitane”.
Immagina che si possa andare al voto entro un anno?
“No, guardi: dirò la mia, facendo valere il nostro peso politico affinché si voti in autunno. Purtroppo per ora con elezioni di secondo grado. Le province vanno rivitalizzate dopo un decennio di quasi coma”.
Che mi dice sulla sanatoria promossa da FdI?
“Mi crede se le dico che non conosco i termini precisi del discorso? Io sono contrario, per principio, alle sanatorie. Ma se si tratta di casi particolari per i quali non c’è altro da fare che adottarla….”.
E, invece, sulle nomine della sanità ferme in commissione Ars?
“Non ho alcun parere se non che è dovere della commissione esprimersi liberamente e celermente una volta ricevuti gli atti e i curricula. Le proroghe dei commissari hanno determinato un clima di incertezza pernicioso. Io dico solo che sarebbe stato meglio che si fosse attinto anche al cosiddetto “secondo elenco” perché lì c’erano dirigenti di sicuro valore che avrebbero consentito un ricambio più ampio nella classe dirigente sanitaria. E, invece, si è dovuto ricorrere in gran parte agli uscenti. Quelli che conosco li stimo e sono contento che a Catania vi sia un quartetto di direttori di alto valore”.
A proposito di Catania, come sta amministrando Enrico Trantino?
“Io sono un cittadino e non frequento i social. Ma mi dicono che Trantino in questo campo è una sorta di Chiara Ferragni in quanto riscuote giudizi positivi. Il suo è un nome importante che sicuramente giova alla nostra città”.
Ma…?
“Veda, temo che l’elezione diretta determini la sindrome dell’uomo solo al comando. L’uomo solo e tutt’al più il suo partito solo. Sul governo del territorio, sulle grandi infrastrutture a cominciare dai parcheggi, sul rilancio della zona industriale nell’epoca della Zes unica, sulla dispersione scolastica, sulla solidarietà verso i più deboli, il confronto politico non è una perdita di tempo, ne’ un fastidio. È la democrazia. E il Mpa, che ha solide radici in città e ha contribuito in maniera netta e decisiva all’elezione del sindaco, non intende rinunciare a dire la sua”.