L'orrore sulla Diciotti | ignoto ai leoni da tastiera - Live Sicilia

L’orrore sulla Diciotti | ignoto ai leoni da tastiera

La scaletta di quella nave divide due mondi, li separa in modo più netto di una catena montuosa

LIMAS SODA
di
3 min di lettura

Da oggi LiveSicilia ospita nella sezione delle “Idee” i contributi di Sergio Lima, oggi portavoce della presidenza della Commissione antimafia all’Ars.

La scaletta della nave Diciotti si attraversa in 10 passi. Pochi metri. È stretta, si passa uno ad uno. È il confine più sorvegliato del mondo. Poggia sul cemento del molo 4 di Catania e sulla fiancata di poppa. Divide due mondi, li separa in modo più netto di una catena montuosa.

Alla fine di quella scaletta si apre tutto l’orrore di cui l’uomo è capace. Un orrore racchiuso in 150 sguardi, in 150 corpi martoriati e scheletrici. Corpi che raccontano il dramma epocale che si consuma sulla sponda sud del Mediterraneo e che il mare sbatte davanti ai nostri occhi. Uomini e donne in fuga da fame e orrore, in fuga dalla bestialità dei loro simili che li usano come merce di scambio, li picchiano, ne abusano. Uomini, donne, adolescenti e bambini. Ogni corpo ed ogni sguardo racconta una storia, prima ancora di aprire bocca per parlarne. Ogni cicatrice racconta una trattativa tra clan nel deserto o in Libia.

Non esistono parole, così come non esistevano per spiegare i corpi scheletrici dei sopravvissuti all’olocausto davanti gli occhi dei soldati che aprivano i cancelli dei lager in Europa.

E poi che cosa dovremmo dire? Come si può spiegare a chi ha visto compagni morire di fame in un capannone libico, a chi ha attraversato il mare senza sapere se avrebbe mai toccato terra ferma, che oggi deve restare chiuso su una nave della guardia costiera italiana? Come si può spiegare che per qualcuno quei 150 esseri umani rappresentano una terribile minaccia per un paese di 60 milioni di abitanti, per un continente di oltre 500 milioni di abitanti ?

Uomini e donne ostaggi da tutta la vita. Ostaggi in Eritrea di un governo che prevede la militarizzazione fino a 60 anni. Ostaggi di chi si arricchisce grazie alla miopia dell’Europa, ostaggi dei clan, ostaggi dei signori della guerra libici, oggi ostaggi dei Salvini d’Europa. Sempre ostaggi, ieri e oggi.

Migranti, clandestini, invasori. Semplicemente uomini. Con i loro nomi. Definiti per nazionalità stabilite dagli europei nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo. Privati del loro nome e trasformati in nome collettivo. E forse è questa la prima cosa che consente di tenerli su quella barca al molo. Essere spersonalizzati nelle cronache politiche di questi mesi e di queste ore. Essere raccontati senza raccontare le loro storie, le storie impresse a frustate sui loro corpi che qualcuno definisce palestrati, anche quando l’unica cosa che si vede sono le ossa. Anche quando per scendere hanno bisogno di appoggiarsi perché senza forze neppure per camminare.

Nel 1945 i soldati alleati portarono i cittadini di Weimar dentro il campo di Buchenwald appena liberato, li portarono a vedere con i loro occhi l’orrore che si era consumato dentro quelle baracche a pochi metri dalle case abitate. Nessuno porterà oggi i tanti, troppi, leoni da tastiera a guardare l’orrore nei corpi di 150 uomini e donne oggi ancora su Nave Diciotti. Nessuno porterà la decina di manifestanti di forza nuova a parlare con le donne stuprate più e più volte. Ma quei corpi e quegli occhi sono lì, sul molo 4 del porto di Catania. A dieci passi, su una scaletta che separa mondi e storie. A dieci passi dalla speranza.

In questa notte, lunga, resta qualcosa a cui aggrapparsi nell’attesa che ritorni la luce. I marinai della Diciotti e il loro sforzo sovrumano, tutti quelli che in questi giorni hanno affollato il porto di Catania per dire semplicemente che no, non è normale tenere donne e uomini prigionieri su una nave. Sono piccole zattere e sono quelle dove oggi si può rifugiare chi cerca semplicemente di restare umano. Non è poco, oggi non è affatto poco.


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