Ma la festa ci salverà - Live Sicilia

Ma la festa ci salverà

La speranza e il Festino
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Neanche il vento caldo di questi giorni riesce a far levare alte le fiamme della polemica sul Festino. Festino sì, Festino no oppure Festino ricco o Festino povero restano dei dilemmi per pochi interessati in una città sempre più apatica. Palermo si appresta a celebrare il 386° Festino di Santa Rosalia senza… Palermo. Non è una questione di numeri, perché probabilmente gli aficionados e i devoti non mancheranno e riusciranno a riempire come al solito Cassaro e Foro italico, ma credo che ogni anno che passa questa festa, che dovrebbe essere la festa di Palermo, si svuoti dell’anima della città. Tra secolarizzazione, rabbia e rassegnazione una gran parte della città si è dimenticata della sua festa: per molti il Festino vive nei ricordi proprio come un vecchio nonno morto da tempo mentre per altri, specie i più giovani, il Festino quasi non esiste. Il Festino dei nostri giorni è soltanto un fantasma che si aggira in una città tetra e maleodorante, ripiegata su se stessa, un’ombra degli antichi festini al contempo barocchi e popolari dove si ritrovava l’intera città: giovani e vecchi, ricchi e poveri, credenti e non credenti. La rottura dell’arcaico legame tra Palermo e la sua festa è il vero problema: Palermo perdendo la sua Festa perde se stessa, la sua identità e la sua storia e non c’è bisogno di un antropologo per spiegare queste cose ma è sufficiente guardare ad una metropoli multiculturale e multietnica come New York che conserva gelosamente e celebra gioiosamente il Columbus Day e il St. Patricks Day. Palermo attraversa indubbiamente un momento difficile ma non la si aiuta mortificandola ulteriormente privandola della sua festa o, peggio, con l’ossimoro di una festa povera al contrario credo che vada recuperata la festa e il senso di fare festa. In questo contesto la festa, come categoria antropologica, può essere la provvidenziale e salvifica medicina per curare una città depressa. Bisogna però intendersi sul concetto di festa perché la festa non è panem et circenses, un sedativo dei potenti per i malumori popolari ma è uno spazio/tempo, un luogo dell’anima, un ambiente magico, una categoria della cultura di ogni popolo, è, nel suo contenuto più intimo, la risposta dell’uomo alla propria condizione precaria. La festa infatti rappresenta un’alternativa di vita diversa dal grigiore di ogni giorno, è anche una anticipazione di un futuro libero dalle preoccupazioni del presente; così il compito di ogni festa è proprio quello di riaffermare e al contempo negare dell’ordine sociale esistente, in un mondo che riproduce il tempo della vita quotidiana per affermarlo, negarlo e, infine, migliorarlo. La festa, in ultima analisi, è speranza, e la speranza è ciò che al momento manca alla nostra Città. C’è un altro aspetto fondamentale della festa ed è la dimensione comunitaria; una festa è condivisibile, raggiunge l’apice del momento di maturità, per cui nasce, vive, e muore, se è vissuta e resa propria tramite valori, significati e simboli condivisi dalla comunità e se questa stessa comunità genera la festa perché c’è una condivisione anche nella preparazione della festa. Anche questo aspetto comunitario è dimenticato nella festa della nostra città: il Festino non è una creatura dei palermitani ma è uno spettacolo figlio del direttore artistico di turno, non c’è più l’impegno dei singoli e la voglia di essere protagonisti ma maestranze e comparse pagate coi fondi riservati del sindaco. Se la festa è tutto questo allora è necessario salvare e custodire il Festino per salvare Palermo: Palermo deve ritrovare la sua festa, i palermitani devono tornare a fare festa, devono recuperare la capacità e la voglia di sperare e sognare un mondo diverso, una città diversa e devono anche rimboccarsi le maniche per il loro Festino che deve diventare metafora di impegno e responsabilità civile. Forse qualcuno non sarà d’accordo perché probabilmente, e in fondo giustamente, non c’è nulla da festeggiare e si scandalizzerà per questa proposta di una “festa medicinale”, per questa strana convivenza di luce e tenebra, ma non è una cosa così strana anzi probabilmente si tratta di una caratteristica della nostra terra come notò Gesualdo Bufalino: «l’isola tutta è una mischia di lutto e di luce. Dove è più nero il lutto, ivi è più flagrante la luce, e fa sembrare incredibile, inaccettabile la morte. Altrove la morte può forse giustificarsi come l’esito naturale d’ogni processo biologico; qui appare come uno scandalo, un’invidia degli dei». La luce dei fuochi d’artificio e l’incanto dei nostri bambini possono scacciare le tenebre di questa Città, le luci che risplendono nel cuore di ogni palermitano possono rendere inaccettabile la morte di questa Città.


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