Encomiabile la scossa di Confindustria Palermo su una città ingessata dall’ignavia. Sfoderare sette, otto progetti per la rinascita della Fiera del Mediterraneo, del mercato ittico o dell’ortofrutta, per eliminare lo scempio della disastrata opera pia a due passi dal Politeama e farne un auditorium, ovvero pensare a un uso diverso dell’Ucciardone, giusto per citare alcuni dei punti esposti a metà novembre, coincide in gran parte con quanto avevamo proposto un anno fa su questa rubrica immaginando un viaggio nel futuro, un sogno che diventava incubo non appena tornati con i piedi per terra, fra strade soffocate da immondizia, traffico, servizi sempre più precari.
Lo ricordo giusto per osservare come ogni palermitano ma forse anche ogni turista, soffermandosi davanti ai tanti sfregi della città, abbia spesso immaginato, sperato, appunto sognato, di ritrovarsi a passeggio in un centro pedonalizzato, di non avere difficoltà a raggiungerlo, di arrivare la mattina sulla circonvallazione senza finire schiacciato negli imbuti di un traffico senza regole, senza dover ammirare (si fa per dire) da agosto passerelle sopraelevate già belle e fatte, perfino illuminate, ma inutilizzate.
Tanto di cappello quindi agli imprenditori che hanno costretto la sonnolenta Palermo a guardarsi allo specchio con l’aiuto di due progettisti genovesi forti di grandi realizzazioni a Marsiglia. Anche se, trattandosi per il momento di sfoderare delle idee, potrà apparire legittima l´osservazione di qualche bravo e impegnato professionista che opera nella sua Palermo, come l´architetto Iano Monaco, sorpreso dal fatto che abbiano saputo di tutto ciò a cose fatte tanti dei diecimila ingegneri e architetti qui iscritti agli Ordini, “buona parte dei quali ansiosi di fare qualcosa per la propria città e pronti a partecipare ad eventuali concorsi di progettazione”.
L’ha precisato il patron della manifestazione, il determinato presidente di Confindustria Palermo Alessandro Albanese (nella foto), che la scelta di invitare due “stranieri” a guardare la città da fuori era una scommessa anche per capire come gli altri ci vedono, quali punti di leva si riesca ad intravedere dall’esterno per individuare un riscatto possibile verso l´ipotesi di una città civile. Come dire che non ci sono esclusioni di sorta. Perché quel che importa sta nella assicurazione che proprio Confindustria garantirebbe di potere fare da collante per mettere in moto investimenti addirittura per 500 milioni di euro. E, passando all’opera, ci sarebbe lavoro per tutti.
Ma per passare all’opera bisogna andare oltre la scossa di industriali che non ne possono più dell’immobilismo. E per questo il vero obiettivo dell’operazione è sembrato quello di entrare volutamente a gamba tesa nel pasticciato ed incomprensibile dibattito politico in vista delle elezioni comunali e di una ancora imprecisata indicazione del candidato sindaco da parte delle cordate in corsa.
Perché a nulla vale nemmeno realizzare le opere se non si sa in quale contesto inserirle, come usarle, come farle vivere. E lo dico pensando proprio ad uno dei progetti già realizzati proprio da Iano Monaco al quale si deve la Piazza della memoria allestita fra il vecchio palazzo di giustizia e la nuova ala del tribunale ospitata all’interno del nostro “Beaubourg”. Una piazza immaginata come una agorà capace di avvicinare anche fisicamente i cittadini alle mura della legalità, una piazza pensata per essere vissuta mattina e sera, ma ridotta ad un parcheggio (blindato) per le auto di cancellieri e scorte mentre il garage sotterraneo resta in gran parte non utilizzato. E, giusto per fermarci, a quest’area di cui i due genovesi non si sono occupati perché formalmente già risanata e ristrutturata ecco l’altra improbabile agorà di quel deserto che è diventata una pietrificata piazza Vittorio Emanuele Orlando, assurda isola pedonale attraversata in fretta da avvocati e imputati al mattino, poi spopolata, arida, insidiosa, quasi inutile ostacolo fra corso Finocchiaro Aprile e la zona del Capo, del Teatro Massimo.
Effetti ben lontani da chi aveva tratteggiato gli interventi sui tavoli da disegno. Ma per questo, oltre al tecnico, occorrerebbero intervento, mediazione, riflessione di una politica ancora assente, eppure setaccio obbligato per trasformare le buone intenzioni in vero piano di sviluppo. Perché il rischio è di fare le cose male e gestirle peggio o farle morire. Come succede con le agorà, con le passerelle, con i Cantieri culturali…