Mafia e armi | Borgo Vecchio sotto assedio - Live Sicilia

Mafia e armi | Borgo Vecchio sotto assedio

Cento carabinieri impegnati. Decine e decine di perquisizioni. Quella che sembrava un'operazione antidroga in realtà è stato un assedio alla ricerca delle armi del clan mafioso del popolare rione palermitano.

RAFFICA DI PERQUISIZIONI
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PALERMO – Hanno messo sottosopra l’intero quartiere. Cento carabinieri impegnati. Decine e decine di perquisizioni. Quella che sembrava un’operazione antidroga in realtà è stato un assedio alla ricerca delle armi del clan mafioso di Borgo Vecchio.

L’arresto di un uomo di 27 anni, che aveva in casa 70 piante di cannabis, è stato l’episodio inaspettato che ha fatto comodo agli investigatori per distogliere l’attenzione dal vero obiettivo. I carabinieri cercavano armi che, però, non hanno trovato. Qualcuno ha fatto in tempo a cambiare nascondiglio? Era andata diversamente nelle scorse settimane, quando il neo pentito Francesco Chiarello aveva fornito un riscontro formidabile alle sue dichiarazioni, facendo ritrovare tre pistole in un magazzino a Borgo Nuovo. Una calibro 7.65, una calibro 9 a canna corta e una a tamburo. Tutte con la matricola abrasa.

Il clan del popolare rione a pochi passi dal salotto di Palermo è bene armato. Una circostanza preoccupante, soprattutto se associata alle fibrillazioni che si avvertono nel territorio. Popolare quartiere e crocevia di intrecci mafiosi. Tutte le inchieste degli ultimi tempi sulla mafia palermitana passano da Borgo Vecchio. Boss, vecchi e nuovi, si sentivano al sicuro. Le inchieste Apocalisse, 1 e 2, hanno dimostrato, ad esempio, che nel quartiere erano di casa personaggi come Pietro Magrì, Gregorio e Domenico Palazzotto, oggi al 41 bis perché considerati capimafia dell’Arenella. Per i summit sceglievano una taverna del Borgo pur vivendo dall’altra parte della città.

Le intercettazioni in carcere fra i fratelli Giovanni e Giuseppe Di Giacomo – killer ergastolano il primo, boss in ascesa fermato con il piombo il secondo –  hanno rafforzato il sospetto che proprio al Borgo Vecchio si debba scavare per trovare la verità sull’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà. “…Ma non è che sono stati quelli del Borgo?”, chiedeva Giovanni. “Sì”, rispondeva il fratello. Era il 19 luglio 2013. Per la verità proprio al Borgo hanno puntato le indagini sul caso archiviate di recente.

Il muro di omertà che faceva del Borgo un luogo sicuro è crollato. Prima il pentimento di Danilo Gravagna e poi, soprattutto, quello di Chiarello hanno destabilizzato il rione che fa parte del mandamento di Porta Nuova. Quest’ultimo collaboratore di giustizia sta raccontando anche i retroscena degli omicidi. Prima ha detto di volersi togliere dalla coscienza il peso della tragica fine di Davide Romano. “Eravamo amici”, ha detto ai pubblici ministeri, parlando del giovane torturato, ucciso e chiuso nel bagagliaio di una macchina, nudo e legato mani e piedi. Chiarello ha condotto i carabinieri in un magazzino alle spalle del nuovo Palazzo di Giustizia dove Romano sarebbe stato torturato prima di essere ammazzato. Il tutto a pochi metri dagli uffici giudiziari. Chiarello era contrario al delitto, ma non avrebbe potuto opporsi.

Così come nulla avrebbe potuto fare per fermare la spedizione punitiva ordinata nei confronti di Fragalà. Una punizione, organizzata nel corso di un summit a cui Chiarello dice di avere assistito. Così come il collaboratore conoscerebbe i segreti dell’omicidio Di Giacomo, crivellato di colpi alla Zisa in quella che è stata una faida per il potere interna al mandamento di Porta Nuova e alle famiglie che si spartiscono il controllo dei quartieri della zona centrale della città.

 


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