Mafia, il dominio del clan Brunetto |4 condanne nel processo Ghota - Live Sicilia

Mafia, il dominio del clan Brunetto |4 condanne nel processo Ghota

Si è concluso il processo con rito abbreviato per i 5 imputati per associazione mafiosa. Salvatore Brunetto, ritenuto capo promotore, condannato a 12 anni. Sentenza di assoluzione per Rosario Russo.

il verdetto
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CATANIA. Quattro condanne e un’assoluzione. Si è concluso così il processo in primo grado con rito abbreviato a carico dei presunti esponenti del clan Brunetto, la cosca legata alla famiglia Santapaola Ercolano, operante tra Fiumefreddo di Sicilia e gli altri comuni della fascia ionica. Il Gup di Catania Alessandro Ricciardolo alle 19 ha pronunciato la sentenza di assoluzione per Rosario Russo, per il quale l’accusa aveva chiesto 9 anni.

La pena più severa è nei confronti di Salvatore Brunetto, fratello del boss Paolo deceduto nel 2013. L’uomo è stato condannato a 12 anni, 2 anni in più di quelli chiesti dal pubblico ministero Assunta Musella. Il giudice ha riconosciuto l’aggravante del ruolo di capo promotore e la continuazione con le condanne precedenti per il medesimo reato di associazione mafiosa. Assolto invece dall’accusa di detenzione e traffico di sostanze stupefacenti.

Condannato a 8 anni, rispetto ai 12 chiesti dall’accusa, Alfio Patanè. Infine inflitti 7 anni a Benedetto La Motta e Pietro Carmelo Olivieri, per i quali il pm aveva chiesto rispettivamente 9 e 8 anni.

LE DIFESE. Non sono mancati i colpi di scena nel corso delle tre udienze riservate alle arringhe della difesa. Per ben due volte il collegio difensivo ha contestato l’attendibilità delle intercettazioni, pilastro dell’accusa nel processo.

A far discutere è il colloquio captato dai carabinieri della Compagnia di Giarre tra la compagna di Giorgio Curatolo, il 36enne svanito nel nulla nel giugno del 2012, e Giovanni Calì, imputato per associazione mafiosa nello stesso procedimento, ma con il rito ordinario. Dopo aver contestato la trascrizione della frase “Melo comanda Giarre” per l’assenza della parola “comanda”, confermata in aula dal perito nominato dal gup, Ernesto Pino e Cristoforo Alessi, difensori di fiducia di Pietro Carmelo Olivieri e Benedetto La Motta, hanno messo in dubbio l’intera genuinità delle intercettazioni. Nel file audio, fatto ascoltare in aula al giudice Ricciardolo, sarebbe emersa una conversazione telefonica tra un militare dell’Arma e la compagna di Curatolo, in cui il primo avrebbe fornito indicazioni pilotando, secondo la difesa, il colloquio. Non solo. Per i legali si evincerebbe che anche Calì era a conoscenza dell’intercettazione, rendendola di fatto inattendibile. Due le possibilità per gli avvocati Pino e Alessi: o Calì si è inventato tutto, fingendo di conoscere l’organigramma del clan, o non fa parte della presunta associazione perché altrimenti non avrebbe mai fatto i nomi. Per entrambi gli imputati è stata chiesta l’assoluzione per non aver commesso il fatto.

Stessa richiesta formulata dai legali Ernesto Pino e Michele Pansera per Salvatore Brunetto, poiché non ci sarebbero prove sufficienti per dimostrare la sua appartenenza all’associazione dopo il 30 giugno 2007, data dell’ultima sentenza di condanna. Secondo i difensori le uniche accuse nei confronti di Brunetto, le intercettazioni in carcere tra Sebastiano e Alfio Patanè, padre e figlio, sarebbero intenzionalmente maliziose poiché dettate da contrasti personali.

Anche per il secondo capo di imputazione, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti, chiesta l’assoluzione perché il fatto non sussiste e, in ogni caso, per non averlo commesso. Secondo i legali, oltre a non esservi alcuna collocazione temporale del fatto contestato, non ci sarebbe inoltre prova che i 1500 euro richiesti dal proprio assistito, come emerge da un’altra intercettazione, siano riconducibili ad una partita di droga.

Per Alfio Patanè, imputato per associazione mafiosa, detenzione illegale di armi da sparo, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti ed estorsione, secondo il legale Ernesto Pino, non possono essere mosse accuse già contestate nell’ambito dell’operazione Fiori bianchi, procedimento per il quale non è ancora stata richiesta peraltro né l’archiviazione né il rinvio a giudizio. Esclusa inoltre l’appartenenza all’associazione. Dalle intercettazioni emergerebbe, secondo la difesa, in modo inequivocabile la posizione di forte contrasto tra l’imputato e il presunto capo dell’organizzazione. Chiesta per questo una sentenza di assoluzione.

Anche per Rosario Russo, ritenuto dall’accusa capo promotore, non ci sarebbero gravi indizi di colpevolezza. Questo quanto sostenuto in aula dai difensori di fiducia Giovanni Spada e Lucia Spicuzza. Alla base dell’accusa ci sarebbe un’unica intercettazione, priva di riferimenti temporali, ma nessun riscontro o dichiarazione di pentiti. Dopo il 2005, come riportato nell’ultima sentenza di condanna patteggiata dall’imputato nel 2010, non ci sarebbero elementi che lascerebbero presupporre la sua appartenenza ad un’associazione. I legali hanno chiesto una sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto.

LE REAZIONI. Grande la soddisfazione dei legali Giovanni Spada e Lucia Spicuzza per la sentenza di assoluzione di Rosario Russo. “Siamo molto soddisfatti – dichiarano – perché è stata acclarata l’innocenza del nostro assistito che, peraltro, con la sua condotta di vita da lavoratore indefesso ha dato prova di emenda dagli errori del passato”.

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