"... ci ho sparato in testa... "| Omicidio di mafia, parla il killer - Live Sicilia

“… ci ho sparato in testa… “| Omicidio di mafia, parla il killer

L'omicidio di Giuseppe Calascibetta

Fabio Fernandez si autoaccusa del delitto di Giuseppe Calascibetta e fa i nomi di tre complici.

PALERMO – “Appena lo abbiamo raggiunto… dice sparaci in testa, sparaci in testa… ho sparato e ce ne siamo andati”. Fabio Fernandez si autoaccusa dell’omicidio di Giuseppe Calascibetta. Sostiene che insieme a lui, nel 2011, entrarono in azione altre tre persone, ma il suo racconto non basta per incriminarle. E così Fernandez, che ha ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini, probabilmente resterà l’unico imputato.

I nomi di coloro che avrebbero fatto parte del commando che uccise il capo mandamento di Santa Maria di Gesù restano, però, scritti nei verbali del pentito. Verbali dettagliati.

Innanzitutto c’era un “parente di Calascibetta” e fu lui a convocare Fernandez: “Ci vediamo alle cinque alla stalla per fare da cosa di ddà”. Qualche giorno prima si erano dati appuntamento: “Eravamo tutti quattro messi vicino che stavamo parlando… che avevano questo grandissimo problema con questo soggetto qua, con questo signore che poi abbiamo fatto il reato”. Se non avessero ucciso Calascibetta sarebbe stato Calascibetta ad ammazzare uno di loro per una vicenda di soldi e traffici di eroina.

Fernandez, pur non sapendo ancora il nome della vittima, prese l’iniziativa: “… scusa prima che ti ammazza iddu l’ammazzi tu, che fai ti fai ammazzare, ci dissi, da chisto di ccà?”.

Pianificarono i dettagli: “… tu ti metti in capo a u muture… loro mi hanno messo i guanti… acchiana cu mia e ci spari tu… c’era il silenziatore, era lunga la pistola, la tenevo in mano direttamente appoggiato con lui, mi tenevo con la sinistra, e con la destra la tenevo in mano”.

E venne il giorno dell’omicidio commesso in via Belmonte Chiavelli: “Siamo arrivati nella strada… lui conosceva la strada, conosceva il posto, per questo l’ha portata lui la moto… ci siamo accostati all’angolo con la moto… eravamo fermi con la moto là…”. Un altro complice si era appostato all’inizio della strada: “… dice: ccà sta arrivando sta arrivando… appena ci fece subito u segnale ca a mano, ccà ccà, tipo sta acchianando, sta acchianando, io accendo la moto e io vedo questa macchina che si mette in questa strada, diciamo che sta entrando in questa traversa… lo abbiamo raggiunto proprio in macchina, lui si è messo vicino tipo e a motocicletta faceva pum pum pum perché era stretto accanto alla macchina, cioè io ho fatto fuoco, lui è andato avanti, ha fatto subito l’inversione, dice sparaci in testa sparaci in testa, e ho sparato un altro colpo e ce ne siamo andati”.

Perché Fernandez si sarebbe dovuto inventare di avere partecipato a un omicidio, lui che al massimo rischiava una condanna per rapina? Ecco perché il suo racconto viene considerato credibile. Credibile ma insufficiente per incriminare le altre tre persone. Tutta gente del rione Falsomiele che il collaboratore di giustizia ha conosciuto in carcere o ha incrociato nel sottobosco della criminalità.

 


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