Sequestrati 50 milioni a Scinardo |Uomo di fiducia di Rampulla - Live Sicilia

Sequestrati 50 milioni a Scinardo |Uomo di fiducia di Rampulla

La Dia guidata da Renato Panvino, in sinergia con il procuratore Capo Giovanni Salvi, ha eseguito un sequestro record di terreni, immobili e società riconducibili a Scinardo, ritenuto vicino al boss Rampulla, fratello dell'artificiere della Strage di Capaci. IL VIDEO LE FOTO

 

DIREZIONE INVESTIGATIVA ANTIMAFIA
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CATANIA – La DIA di Catania e Messina, sotto il coordinamento del procuratore Capo Giovanni Salvi e la direzone di Renato Panvino, capocentro della Dia di Catania, ha eseguito un provvedimento di sequestro e confisca di beni, emesso dal Tribunale di Catania nei confronti di Giuseppe Scinardo, imprenditore ritenuto uomo di fiducia del capo mafia mistrettese Sebastiano Rampulla. Il vasto patrimonio sequestrato e confiscato, per un valore di 50 milioni di euro, risulta costituito da società, ditte individuali e numerosi immobili, tra cui vaste distese di terreno e svariati fabbricati.

A seguito di un complesso iter processuale durato oltre tre anni, si è portato ad esecuzione il decreto di sequestro emesso dal Tribunale di Prevenzione di Catania che ordina la confisca di tutti i beni, per un valore di 50 milioni di euro, riconducibili a SCINARDO Giuseppe, cl.38 di Capizzi (ME), già indiziato di appartenere alla cosca mafiosa riconducibile al cosiddetto “Gruppo di Mistretta”, operante nella zona tirrenica-nebroidea della provincia messinese, e successivamente in rapporti con cosa nostra catanese.

Le indagini, delegate dalla Procura Distrettuale di Catania alla Direzione Investigativa Antimafia di Messina, coordinata dal Centro Operativo di Catania, completano gli accertamenti patrimoniali che avevano già permesso di confiscare, in via definitiva, alla famiglia Scinardo beni per complessivi 200 milioni di euro (Operazione “Belmontino” e “Malaricotta”).

Giuseppe Scinardo proveniente da Capizzi (ME), ma stabilitosi da molti anni con il suo nucleo familiare a Militello Val di Catania (CT), è una persona che già dai primi anni ’90 aveva stretti legami con la ben nota famiglia dei Rampulla di Mistretta, in particolare con i fratelli Sebastiano Rampulla, già rappresentate della famiglia di cosa nostra di Mistretta e oggi deceduto, Maria Rampulla e Pietro Rampulla, quest’ultimo definitivamente condannato dalla Corte di Assise d’Appello di Caltanissetta all’ergastolo poiché ritenuto “l’artificiere” della strage di Capaci, in quanto confezionò sia l’ordigno che esplose nel cunicolo dell’autostrada Palermo – Trapani che il telecomando che venne utilizzato per compiere l’attentato al giudice Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo ed ai componenti della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.

Gli stretti rapporti tra le due famiglie si consolidavano allorquando, alla fine degli ’90, Somma Tommaso, cognato di Pietro Rampulla, all’epoca latitante, veniva “ospitato” all’interno di un fondo rurale della famiglia Scinardo e più precisamente di Scinardo Basilio cl. 28, fratello dell’odierno proposto, ubicata in contrada “Ciulla”, agro del comune di Mineo. Scinardo Giuseppe, nel frattempo, si avvicinava all’organizzazione di cosa nostra operante nel calatino, facente capo a La Rocca Francesco, e favoriva la latitanza dell’allora reggente della famiglia catanese di cosa nostra, Di Fazio Umberto, che poi è divenuto collaboratore di giustizia.

Inoltre nelle sue proprietà avvenivano vari summit mafiosi che mettevano in contatto i Rampulla di Mistretta, i rappresentanti della famiglia di Caltagirone e della famiglia di Catania. Le circostanze sopra indicate emergono dalle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia, tra cui Di Fazio Umberto e Mirabile Giuseppe, che hanno anche riferito dell’interesse degli Scinardo per le energie alternative e segnatamente del loro impegno, in accordo con cosa nostra, per lo sviluppo di progetti relativi a parchi fotovoltaici siti nella piana di Catania.

Il decreto di confisca in argomento, la cui esecuzione è stata effettuata dalla DIA di Catania e di Messina con l’impiego di oltre 50 appartenenti alla D.I.A. presenti contemporaneamente in vari luoghi, è stato eseguito nei confronti di Scinardo Giuseppe, della coniuge Briga Annina e della figlia Scinardo Carmela, nella loro qualità, rispettivamente, di proposto e terzi interessati ed ha riguardato i seguenti beni:

• nr. 3 (tre) aziende, tra società e ditte individuali – operanti nel settore della coltivazione e dell’allevamento di bovini e ovi-caprini – tutte intestate al proposto ed ai suoi componenti del nucleo familiare;

• nr.324 terreni – per una estensione complessiva di circa 700 ettari, pari a mq. 7.000.000 (settemilioni), ubicati nei comuni di Militello Val di Catania (CT), Mineo (CT), Vizzini (CT) e Capizzi (ME);

• nr. 33 fabbricati;

• nr. 6 veicoli.

La nota del nipote di Scinardo. “È ormai consuetudine, per la procura siciliana, sottoporre a confisca interi patrimoni appartenenti a umili imprenditori. È inutile seguire l’iter processuale previsto dalla legge utile a dimostrare l’innocenza dell’imputato perché dinanzi ai poteri forti anche la volontà divina si arrende. La lotta alla mafia è diventata ,ormai, uno strumento di potere per far carriera ora in politica ora in magistratura, perché come diceva Sciascia, chi dissente da certi metodi è subito accusato di essere un mafioso o un simpatizzante. Questa io la chiamo: la mafia dell’antimafia”.

 


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