Palermo, altro dissequestro| Beni restituiti a un imprenditore - Live Sicilia

Palermo, altro dissequestro| Beni restituiti a un imprenditore

Il Tribunale di Palermo

C'era il sospetto di infiltrazioni mafiose nell'appalto del passante ferroviario.

PALERMO – Nuovo dissequestro. La sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo restituisce all’imprenditore Sergio Troia e ai suoi familiari beni per otto milioni di euro. L’impresa di Troia, la Soilgeo, si era aggiudicata appalti nell’ambito della realizzazione del passante ferroviario e del tram. Era stata la Direzione investigativa antimafia a proporre il sequestro nel 2012. È passata la linea difensiva degli avvocati Ninni Reina, Francesco Paolo Di Trapani e Alessandro Reale.

Nel caso di Sergio Troia, visto che non è mai stato processato per reati legati alla mafia, scrivono i giudici, la valutazione sulla sua presunta pericolosità sociale è stata più rigorosa. Gli elementi con cui la Dia aveva ottenuto il via libera al sequestro si basavano sui rapporti tra Troia e alcuni esponenti di spicco di Cosa nostra: Tommaso Cannella, molto legato a Bernardo Provenzano, mafiosi del clan Lo Piccolo, Antonino Cinà e Nino Rotolo.

Nel caso di Cannella, agli atti del processo c’era una conversazione del 1998 all’interno degli uffici della Sicilconcrete, azienda del capomafia di Prizzi, il quale spiegava a Troia: “… mi senti ti sto dicendo oggi facciamo i conti… tanto se non succede niente da domani in poi, le macchine sono per conto tuo… a me sta bene, stabiliamo un tot, dici mi sta bene… io l’ho affittato a Sergio Troia, punto e basta te la pupo tenere pure un anno là… per me sono noleggiate a Sergio troia… ogni 2,3 mesi Sergio Troia mi porta l’assegno… Sergio a me interessa risolvere il problema perché gli devi rompere le gambe, perché si è comportato male… con me non ha più nessun rapporto”.

Secondo il collegio presieduto da Raffaele Malizia, dalla conversazione emerge “che Cannella aveva chiesto a Troia di occuparsi della gestione del noleggio mezzi”, perché un altro imprenditore “non era stato di parola, ma nulla evidenzia che tale vicenda fosse collocabile in un contesto mafioso o nell’ambito di rapporti illeciti… mentre è certo che Cannella all’epoca svolgeva un’attività imprenditoriale lecita attraverso la Sicilconcrete”. I due, dunque, intrattenevano rapporti ma non c’è prova che fossero illeciti.

Generico è stato ritenuto il racconto del pentito Angelo Siino, il cosiddetto ministro dei Lavori pubblici di Cosa nostra, il quale riferì che gli era stata segnalata “la società Sicilsonde in cui avevano interessi i Troia, molto vicini ad Abbate Giuseppe”, condannato al maxi processo e poi assassinato. Lo stesso Siinò, però, disse di non avere conosciuto il titolare della Sicilisonde e successivamente lo identificò nel boss Mariano Tullio Troia, cugino di Sergio. Ed ancora nulla aggiungono gli incontri fra Cannella e Troia avvenuti nel 2001 sul profilo della pericolosità sociale.

Altra presunta prova della pericolosità erano le parole del boss Cinà, il quale nel 2005 diceva a Rotolo, boss di Pagliarelli: “Mi sono visto con Sergio Troia per una situazione… è interessato ad occuparsi della metropolitana. Sergio mi dice a me il discorso che la vuole fare tutta sotto terra”. Si riferiva al posizionamento dei pali per i sondaggi propedeutici agli scavi. Il collegio, però, spiega che l’affidamento dei lavori alla Soilgeo è di quattro mesi antecedente alla conversazione: “Dunque, se da tale dialogo emerge senz’altro l’esistenza di rapporti diretti fra Troia e Cinà, nulla tuttavia consente di affermare con certezza che il primo avesse interessato il secondo per ottenere l’autorizzazione mafiosa all’affidamento dei lavori”. D’altra parte aveva già ricevuto l’incarico e ne aveva semplicemente parlato con Cinà.

Le successive conversazioni fra Rotolo e un altro boss, Franco Bonura, capomafia dell’Uditore, “dimostrano soltanto l’interesse della consorteria mafiosa all’affidamento degli appalti, ma non certo che questi dovessero essere affidati per volere di Rotolo o Bonura a Troia”.

Infine, non c’è alcuna certezza nell’identificazione in Troia nell’imprenditore indicato in altre conversazione come vicino al Lo Piccolo. Da qui la conclusione secondo cui “al più si può configurare nei confronti del Troia la riconducibilità ad una indefinita area di contiguità o vicinanza ad esponenti mafiosi, ma non la commissione di condotte, ancorché isolate, che si caratterizzano per essere funzionali agli scopi illeciti dell’associazione mafiosa”.


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