ROMA – “Il tentativo di passare alla seconda, o alla terza, è fallito il 4 dicembre del 2016. Come al solito ci stiamo aggirando tra le macerie della Prima Repubblica, un esercizio sportivo che dura da 25 anni”. Così l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli in un’intervista a Formiche commenta le dichiarazioni di Di Maio sulla sentenza per il processo sulla trattativa “Stato-mafia”. “Sono molto curioso di leggere le motivazioni, che dovranno contenere qualche elemento di prova di questo “tradimento”. Perché di questo si tratterebbe, se un’Arma che ha per motto “Nei secoli fedele” avesse davvero perpetrato un “attentato al corpo politico dello Stato” ha detto Martelli, secondo cui “siamo di fronte a una contesa storica, quasi atavica, tra i Ros e la procura di Palermo”.
L’ex ministro socialista ha confermato che “c’erano effettivamente degli atteggiamenti anomali. Il capitano De Donno si presentava al ministero e parlava direttamente con Liliana Ferraro a nome del colonnello Mori”. L’impressione dell’ex guardasigilli è che “il processo sia costruito non tanto sui fatti e le responsabilità dell’epoca, ma su come in un secondo momento, magari a distanza di vent’anni, quei fatti sono stati commentati e rivisti. Peraltro non dai protagonisti, ma da parte di qualcuno che ha sentito brandelli di conversazione da terze persone e si è fatto un’idea”. Martelli smentisce “la leggenda di un fronte unitario contro la mafia”: “Quando Scotti ed io presentammo il “decreto Falcone” con le misure più severe contro Cosa Nostra, si riunì l’assemblea congiunta di deputati e senatori Dc che all’unanimità respinse il decreto, che fu poi dichiarato incostituzionale dalla Commissione problemi dello Stato. Altro che unità. La verità è che se non ci fosse stato l’assassinio di Paolo Borsellino quel decreto probabilmente non sarebbe passato”.
(ANSA).