Maurizio Avola |Da killer a pentito - Live Sicilia

Maurizio Avola |Da killer a pentito

È uno dei testi che saranno sentiti oggi nel processo a carico di Mario Ciancio.

CATANIA – Maurizio Avola, il killer dagli ‘occhi di ghiaccio’. L’ex uomo d’onore di Cosa nostra, diventato collaboratore di giustizia nel 1994, è uno dei testi più attesi dell’udienza di oggi del processo a carico dell’editore e direttore de “La Sicilia”, Mario Ciancio (accusato di concorso esterno alla mafia). Faceva parte della squadra di Ognina, negli anni Ottanta. Era ‘al servizio’ del boss Marcello D’Agata. Un rapporto fiduciario che gli ha permesso di accedere ai segreti della mafia catanese. Ha collezionato almeno ottanta omicidi (così come ricorda il titolo del libro firmato dai giornalisti, Roberto Gugliotta e Gianfranco Pensavalli). Ha partecipato nel 1985 anche all’omicidio di Pippo Fava, il direttore de I Siciliani.

Una vita tra gli agi e la fama della malavita, ma con le mani sporche di sangue. La famiglia ordinava, lui eseguiva. Era appena un ventenne quando ha ucciso per la prima volta. “Il battesimo” del killer. Aveva contatti diretti con Aldo Ercolano, nipote del capomafia Nitto Santapaola che il pentito racconta di aver incontrato in diverse occasioni durante la latitanza.

Scaltro e privo di scrupoli. Maurizio Avola è riuscito a infiltrarsi anche nella super villa protetta dei fratelli Salvatore e Giuseppe Marchese, i parenti del super pentito Antonino Calderone, ed ucciderli nella cucina della loro lussuosa depandance. Era il 1992. Ha ucciso anche il suo migliore amico, Pinuccio Di Leo. Qualcosa faceva pensare che avrebbe “tradito” la famiglia, scegliendo la strada della collaborazione della giustizia. E questo dubbio Di Leo lo ha pagato con la vita. Un appuntamento con la morte direttamente all’indirizzo di Maurizio Avola. Ad attenderlo, appena ha varcato l’uscio, le pallottole. “Su ordine della ‘famiglia’, lo convocai a casa mia. Lo eliminò un amico poliziotto sparandogli due colpi alla nuca”.  Avola ha raccontato di aver schiaffeggiato il cadavere dell’amico. Di aver urlato: “È colpa tua!”. Non c’è spazio per la pietà nella mafia.

Maurizio Avola ha iniziato ad annusare l’odore di polvere da sparo alle sue spalle. Nitto Santapaola lo aveva condannato a morte. II killer per salvare la sua pelle e quella dei suoi familiari ha deciso, nel 1994, di vuotare il sacco ai magistrati. Ha fatto nomi e cognomi di boss, gregari, soldati di Cosa nostra. Le sue confessioni hanno rappresentato uno dei pilastri del maxi processo Orsa Maggiore. Il processo più importante della storia della mafia catanese.

Avola ha anche raccontato dei rapporti di Santapaola con esponenti della politica, dell’imprenditoria, delle istituzioni. Ha rivelato anche i legami con Marcello Dell’Utri, numero 1 di Pubblitalia e fidato di Silvio Berlusconi. Ma nei verbali di Avola si trovano anche riferimenti ai servizi segreti deviati e alla massoneria. Il killer ha confidato ai pm del progetto di attentato nei confronti del magistrato Antonio Di Pietro, che nei primi anni Novanta faceva parte del pool di “mani pulite” alla Procura di Milano. Poi il piano è sfumato.

Nel 1997 Maurizio Avola è stato arrestato a Roma per una serie di rapine in banca. “Rapinatori-pentiti” hanno titolato i giornali dell’epoca. Con lui, infatti, sono finiti in manette altri due pentiti siciliani. Fu buttato fuori dal programma di protezione. Non sono mancate le polemiche sul trattamento che lo Stato riservava ai collaboratori di giustizia. Avola, forse spinto dalla moglie che gli diceva di tenere duro, ha chiesto un’altra chance allo Stato.

Nel corso di un’udienza un poliziotto corrotto ha urlato: “Signor giudice, mi vergogno per Avola”. Il sicario dei Santapaola non ha reagito bene: “Mi sono sentito una merda”. Chissà se la stessa vergogna la provava quando uccideva. Più di 80 volte ha premuto il grilletto Maurizio Avola. Quelle vite spezzate sono diventati i suoi “fantasmi”. E anche loro urlano e lo insultano. “A tenermi compagnia ci sono decine di persone urlanti che, appena possono, mi insultano. Alla fine mi sono abituato, sono i fantasmi dei morti ammazzati dal sottoscritto. Basta farci l’abitudine”.


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