I Mazzei e gli affiliati nel Catanese: “Vi dico gli affari e tutti i nomi” -

I Mazzei e gli affiliati nel Catanese: “Vi dico gli affari e tutti i nomi”

I verbali del pentito Graziano Pellegriti (nella foto)
OPERAZIONE ULTIMO ATTO
di
5 min di lettura

CATANIA – “Io facevo il bracciante agricolo e non facevo parte di alcun gruppo criminale di Adrano. Io nel 2017 ho iniziato la relazione con la mia attuale convivente che è poi rimasta incinta. Avendo bisogno di denaro…”. Sono le prime parole che Graziano Pellegriti, elemento di spicco dei Mazzei nella provincia di Catania, che ha deciso di pentirsi. I primi verbali emergono con l’operazione Terza famiglia, ma l’ultimo blitz dei carabinieri ha consentito di conoscere nuovi particolari sull’articolazione delle principali famiglie dell’area etnea.

“Così ho conosciuto la mafia”, i primi nomi

La sua compagna è incinta, il lavoro da bracciante non basta e così Pellegriti si rivolge ad alcuni conoscenti: “Turi Giarrizzo del clan Scalisi, Salvatore Foti del clan dei Taccuni, andai da loro a chiedere in prestito mille euro per affittare una casa ma loro non me li diedero e allora mi sono rivolto a Cristian Lo Cicero”.

In cambio del trasporto di un carico di droga a Kempten, in Germania, Pellegriti riceve 500 euro: prende in affitto un’auto da “Giuseppe Laudani”. Nascosti nei pannelli dell’autovettura ci sono 10 chili di marijuana. Il contatto con la Germania sono due siciliani, emigrati da tempo: “Santo Celeste e il cugino di nome Antonino”.

Inizia così a spacciare, per conto del gruppo di Cristian Lo Cicero, riceve 100 euro ogni due o tre giorni, in base a quanta droga riesca a vendere.

La cassa comune

I proventi del gruppo vengono divisi tra “Francesco Lombardo, Giuseppe Costa detto pesciolino e lo stesso Cristian Lo Cicero. Anche Luigi Bivona riceveva in quel periodo somme di denaro”.

In quel momento Pellegriti scopre che il clan Mazzei di Catania ha un collegamento con un centro importante della provincia: Adrano. Bivona, infatti, “faceva riferimento a Santo Di Benedetto, detto ‘U panitteri del clan Mazzei”. Si tratta di una famiglia legata all’ala stragista di Cosa Nostra. Santo Mazzei, il capo clan, divenne uomo d’onore con Leoluca Bagarella come Padrino, come ha svelato il pentito Giovanni Brusca. A Bronte, cittadina vicina ad Adrano, il riferimento è un uomo di spessore criminale: Francesco Montagno Bozzone, detenuto al 41 bis.

Alla moglie di Di Benedetto, il gruppo di Lo Cicero versava 500 euro al mese quando il marito era in carcere. I rapporti con i “catanesi” dei Mazzei erano costanti, rivela il pentito: “Con il Lo Cicero andavamo a Catania, e ciò quasi tutti i giorni, perché il Lo Cicero così manteneva i rapporti principalmente con gli esponenti del clan Mazzei”.

Istagram e il canale della droga

Il pentito rivela di aver mantenuto, quando era ai domiciliari, i rapporti con i trafficanti di Messina attraverso “Istagram”. Pellegriti diventa un uomo di fiducia del gruppo, tanto da custodire alcune pistole e un jammer. Ma è dopo il blitz del 2018 che il collaboratore stringe rapporti con il clan di Biancavilla. Si sostituisce al clan dei ‘Taccuni’, finiti in carcere, per fornire la cocaina e incontra il boss Giuseppe Mancari detto ‘U pipi’: “Io spiegai che la droga che davo al Pellegriti era quella del clan di Cristian Lo Cicero di Adrano e che io facevo parte di tale gruppo”. Si dichiara e incontra il Boss con alcuni esponenti di spicco: Alfio Mauceri e Salvatore Gioco: “Abbiamo concordato che il nostro gruppo avrebbe fornito droga al clan di Biancavilla dandola o al Gioco e al Mauceri o ad altri appartenenti come Piero o Manuel Amato, o Piero Licciardello, tutti soggetti autorizzati a prendere la droga per conto del clan”.

Il pizzo sulla carne di cavallo

Durante le feste di paese, i venditori di carne di cavallo devono sottostare alle regole del clan: acquistare panini e carne solo in determinati posti, a prezzi maggiorati: “Io so da Luigi Bivona – dice Pellegriti – che per le feste di S. Placido a ottobre il clan di Biancavilla imponeva le estorsioni a tutte le bancarelle e agli stand che vendevano panini e carne e imponevano di comprare i panini da un determinato panificio e la carne da Giuseppe Maccarrone che è la macelleria in viale dei Fiori”.

L’album della mafia

I carabinieri mostrano un album di fotografie al collaboratore di giustizia. Riconosce “Placido Galvagno”. Subito dopo “Manuel Amato, che faceva parte del gruppo del Mancari che come ho detto si occupava di traffico di stupefacenti tanto che in più occasioni ho dato a lui la droga che il nostro gruppo forniva al loro gruppo e lui mi pagava”.

Il pentito parla anche di Alfredo Cavallaro, che sarebbe l’uomo del clan Mazzei: “Fa riferimento direttamente a Santo Di Benedetto. Io sapevo che Cavallaro forniva droga ad un ragazzo di nome La Rosa che aveva un autolavaggio a Biancavilla ed il Mancari aveva autorizzato Cavallaro a dare la droga a questo La Rosa che era autorizzato a spacciare perché aveva sia il padre che il fratello in stato di arresto. Ricordo che a questo ragazzo dell’autolavaggio lo chiamavano ‘Tano u porcu’”.

Pellegriti conferma che Pippo Mancari è il “capo di Biancavilla e Cristian Lo Cicero come ho detto aveva rapporti direttamente con lui ed era lui che autorizzava sia lo spaccio che le estorsioni. Lui dopo quasi trenta anni di carcere era considerato il boss a Biancavilla”.

Gli affari

Non solo droga ed estorsioni anche sulla carne di cavallo, il clan gestiva un’agenzia per il trasporto dei prodotti con gli autotreni. “In sostanza a Biancavilla – dice il collaboratore – il clan mafioso imponeva che tutti i trasporti di merce su camion dovessero passare dall’intermediazione dell’agenzia formalmente intestata a Carmelo Militello ma che in realtà era del clan di Biancavilla e i soldi poi venivano dati a Pippo Mancari”.

Il collaboratore parla anche di Fabrizio Distefano, che “spacciava droga a Biancavilla con Antonio Russo, cognato di Vito Amoroso ma sempre per conto del clan” e delle forniture al nipote dei proprietari di un noto colosso dell’edilizia. Un altro nome, “Nicola Minissale detto u papa fratello di Placido e Simone Minissale. Loro erano un gruppetto di pecorai, spacciavano droga a Biancavilla e facevano sempre riferimento al clan capeggiato dal Mancari”.

E ancora, “Piero Licciardello, che prima lavorava in un panificio a Paternò, ma io nel 2018 quando ero operativo era un affiliato del clan di Biancavilla e come ho detto si occupava di spaccio di stupefacenti e di estorsioni” e “Mario Venia che era un fedelissimo di Pippo Mancari e stava sempre con Placido Galvagno e si occupavano di estorsioni per conto del clan”.

I PENTITI E LA VENDETTA DEI SANTAPAOLA


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI