Medea, a Segesta la prima| nazionale di Max Rouquette - Live Sicilia

Medea, a Segesta la prima| nazionale di Max Rouquette

Teatro antico
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Al Teatro Antico di Segesta, gran finale del Festival diretto da Enrico Stassi con la tre-giorni di “Medea (Médée)” da Euripide, che venerdì 27 agosto alle 19,30 debutta in prima nazionale nella versione di Max Rouquette (1908-2005), tra i maggiori scrittori francesi del Novecento.

Lo spettacolo proposto su progetto drammaturgico e per la regia di Paola Pace – traduzione Giovanni Agresti, revisione Angelo Pellegrino – sarà replicato sabato 28 e domenica 29 agosto, sempre alle 19,30.

Sul palcoscenico con la stessa Paola Pace, Maurizio Spicuzza, Angelo Pellegrino, Marika Pugliatti, Sergio Lo Verde, Simone Pace. Coro: Valentina Barresi, Ester Castagnè, Gea Gambaro, Daniela Mangiacavallo, Cristina Valveri e “Trizziridonna” (Barbara Crescimanno, Veronica Racito, Teresa Ferlisi). Cantore: Aldo Cupane. Organetto e percussioni: Antonio Roma. Scene di Stefano Giglio. Costumi di Krista Karttunen. Foto di scena di Fabrizio Altavilla.

L’imponente allestimento è proposto dall’Associazione Teatrale Vambarapam in collaborazione con Hakuna Matata Onlus. “Un altro monumento femminile del teatro euripideo – dice il direttore artistico del Festival, Enrico Stassi – viene rappresentato a Segesta nella versione di Max Rouquette, uno dei maggiori scrittori francesi del Novecento. Médée, allestita da Jean-Claude Martinelli, ha fatto una tournée trionfale nel 2003/04, prolungatasi anche in Italia, dove nel 2008 è stata presentata in lingua francese. Con la messa in scena di Segesta è la prima volta in assoluto che il testo viene rappresentato in italiano”.

Parlando della sua Medea, Rouquette, dopo aver evocato il teatro naturale della campagna della Linguadoca, dove la concepì, scrive: “L’opera sarebbe identica a questo paesaggio, nel suo spirito, pietroso, brutale, duro, senza ornamenti ma a volte con l’ampiezza del vento, del calore, dell’aria, del cielo, della notte; e avrebbe tuttavia i riflessi e i significati della vita, dei tormenti, delle tempeste, dei sogni e della sofferenza di ogni uomo, in tutti i tempi”.

A questa stessa cifra stilistica si ispira l’allestimento di Segesta: “Una Medea occitana – dice Paola Pace – pietrosa, brutale, come voleva Max Rouquette. Un campo nomadi, condizione dell’anima. Esuli di una cultura, di un paese, di una guerra, ma soprattutto di se stessi. Una compagnia di errabondi”.

La vicenda è nota, il mito si perpetua ancora una volta, anche in questa nuova versione del “rito teatrale” firmata da Rouquette, dopo la prima assoluta del 431 a.C., quando Euripide presentò la sua opera nel Teatro di Dioniso ad Atene.

La scena si svolge a Corinto, dove vivono Medea, il marito Giasone e i loro due giovani figli. La donna, straniera nella città di Corinto, aveva abbandonato il proprio padre Eeta e la sua terra, la Colchide, per unirsi a Giasone e per aiutarlo, ricorrendo alle arti magiche di cui era dotata, nell’impresa del Vello d’Oro. Dopo dieci anni, però, Creonte, re della città, vuol dare sua figlia Creusa in sposa a Giasone, promettendogli la successione al trono. Giasone accetta e abbandona così la moglie Medea. Vista l’indifferenza di Giasone che non tiene in alcun conto la disperazione della donna, Medea medita una vendetta tremenda. Fingendosi rassegnata, manda in dono un mantello alla giovane Creusa, la quale, non sapendo che il dono è pieno di veleno, lo indossa per poi morire fra dolori strazianti. Il padre Creonte, accorso in suo aiuto, tocca il mantello e muore anche lui. Ma la vendetta di Medea non finisce qui. Per assicurarsi che Giasone non abbia discendenza, uccide i figli avuti con lui, condannandolo all’infelicità perpetua.


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