PALERMO – I giudici di Roma confermano la ricostruzione della Procura di Palermo. L’uomo in carcere con l’accusa di essere un trafficante di migranti è davvero Mered Medhanie Yedhdego.
Il botta e risposta fra accusa e difesa si arricchisce di un nuovo capitolo. Stavolta, però, è un collegio di giudici a dare ragione ai magistrati palermitani. Si tratta di Maria Sabina Vigna, Paola Della Vecchia e Imma Imperato che compongono il Tribunale del Riesame di Roma. Il collegio ha stabilito che Mered deve restare in carcere nell’ambito di un’inchiesta parallela a quella palermitana. Secondo i pm capitolini, l’Eritreo sarebbe stato il capo una cellula con base a Roma che organizzava i viaggi della speranza dall’Eritrea e dall’Etiopia, attraverso la Libia, verso le coste siciliane. Per questo avevano emesso un ordine di arresto quando Mered era ancora latitante.
“In tale fase processuale – scrivono i giudici del Rieasame che hanno respinto l’istanza di scarcerazione -, in attesa di ulteriori approfondimenti investigativi, peraltro già in corso, occorre valorizzare gli elementi che, anche sotto il profilo della esatta identità dell’arrestato, assurgono a gravi indizi e consentono di poter ritenere che il soggetto tratto in arresto in Sudan ed estradato in Italia sia l’indagato Mered”. Il Tribunale romano elenca gli esiti delle indagini coordinate dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Maurizio Scalia e dai sostituti Calogero Ferarra e Claudio Camilleri.
Si è partiti da un telefono che Eurojust ha attribuito a Medhanie. La stessa utenza, nel 2015, secondo gli investigatori olandesi, era stata contattata da un altra utenza in uso al fratello del trafficante. Particolari che smentirebbero il legale della difesa, l’avvocato Michele Calantropo, secondo cui, ci si troverebbe di fronte a un clamoroso errore di persona: in carcere non c’è Mered Yedhego, ma Mered Tasmafarian Behre, che al momento dell’arresto in Sudan era in procinto di partire per l’Italia come profugo.
A smentire questa tesi, così sostengono i pm palermitani nel materiale probatorio ora utilizzato dal Riesame, ci sarebbero altri elementi: da alcune intercettazioni riconducibili all’arrestato sono emersi i contatti con una donna che viveva in Svezia e che all’ufficio anagrafe dichiarò di avere avuto un figlio da Mered Medhanie Yedhego. Le foto della donna e del bambino sono state trovate nella memoria del telefonino utilizzato da Mered e anche su un profilo Facebook che, secondo gli investigatori, è collegato all’indagato, nonostante lui abbia sostenuto di non conoscere la persona che lo ha attivato. Infine a carico di Mered, trovato in possesso del cellulare usato dal trafficante ricercato, ci sono anche delle telefonate in cui si parla, secondo i pm in modo inequivocabile, dell’organizzazione dei viaggi dei migranti per l’Italia. Sono tutti elementi che hanno convinto il Riesame di Roma a ritenere che gli investigatori palermitani non abbiano commesso un clamoroso errore di persona.