PALERMO – Favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravati. Giovanni Luppino, l’autista di Matteo Messina Denaro è stato condannato a 9 anni e 2 mesi. Una pena pesante, ma meno dei 14 anni e 4 mesi chiesti dalla Procura. Non ha retto l’accusa di associazione mafiosa.
“Mi ha detto che stava morendo e l’ho aiutato per ragioni umanitarie”, disse Luppino provando a scrollarsi di dosso la pesante accusa. Inciampò, però, quando negò di conoscere i componenti della famiglia Bonafede. A cominciare da Laura Bonafede, maestra e amante del padrino. I pubblici ministeri Gianluca De Leo, Piero Padova e Alfredo Gagliardi gli contestarono che la donna, assieme al marito ergastolano Salvatore Gentile, ha battezzato i suoi figli.
All’inizio raccontò di avere saputo solo in un secondo momento di avere aiutato l’uomo più ricercato del pianeta. All’inizio aveva fatto un favore ad Andrea Bonafede. Si faceva chiamare Francesco. Erano vicini di casa in via San Giovanni a Campobello di Mazara, la casa dove Messina Denaro ha abitato prima di trasferirsi nell’ultimo Covo in via Cb 31. Accettò di accompagnare il capomafia in ospedale e alla clinica La Maddalena a Palermo senza farsi troppe domande. Riferì che “un giorno si è sentito male. Gli ho detto di andare in ospedale. ‘Non posso è stata la sua risposta. Io sono Matteo Messina Denaro‘”.
Anche di fronte a quella scoperta non fece un passo indietro. “Di fronte alla morte l’aiuto non si nega a nessuno”, spiegò Luppino. Messina Denaro gli comunicava con un pizzino lasciato nella cassetta della posta il giorno e l’ora in cui gli serviva il suo aiuto. Per anni, dunque, secondo la sua versione, l’imprenditore si sarebbe messo a disposizione di una persona sconosciuta. Una versione bollata come incredibilmente falsa dall’accusa.
Secondo i pubblici ministeri Gianluca De Leo e Pierangelo Padova, Luppino sarebbe stato molto più di un semplice autista. A novembre 2022, due mesi prima che Matteo Messina Denaro venisse arrestato, Luppino avrebbe chiesto il pizzo ad un imprenditore olivicolo per finanziare la latitanza del capomafia. A confermarlo in aula era stato lo stesso imprenditore.
I difensori, Jimmy D’Azzò e Giuseppe Ferro, nella loro arringa non hanno negato l’evidenza che Luppino avesse aiutato Messina Denaro, ma hanno contestato l’ipotesi che facesse parte di Cosa Nostra. Una tesi che si allinea con la decisione del giudice. Non è la prima condanna subita dalle persone della cerchia ristretta che ha aiutato Messina Denaro nell’ultima parte della sua vita. Andrea Bonafede, ex operaio comunale, è stato condannato a 6 anni e 8 mesi per favoreggiamento aggravato e procurata inosservanza di pena (anche per lui è caduta l’ipotesi di associazione mafiosa). Più pesante la pena, 13 amni e 4 mesi, inflitta a Lorena Lanceri per concorso esterno. Sei anni e 8 mesi al marito Emanuele Bonafede (favoreggiamento e procurata inosservanza della pena).