I racconti dell'orrore di Riina| "Così abbiamo ucciso Dalla Chiesa" - Live Sicilia

I racconti dell’orrore di Riina| “Così abbiamo ucciso Dalla Chiesa”

Totò Riina

Le microspie piazzate in carcere registrano le fasi del delitto dalla voce del padrino corleonese. Dai pedinamenti fino all'agguato. E torna il mistero della cassaforte svuotata.

LE INTERCETTAZIONI
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PALERMO – La cronaca di un omicidio raccontata dal capo dei capi. Totò Riina ripercorre il barbaro assassino del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. La fa passeggiando nel carcere di Milano Opera il 4 settembre dell’anno scorso. Le microspie della Direzione investigativa antimafia registrano le sue conversazioni con il boss pugliese Alberto Lorusso. Le trascrizioni sono state depositate nel processo sulla trattativa Stato-mafia che si celebra a Palermo

“Quando ho sentito alla televisione che il generale Dalla Chiesa era stato promosso prefetto di Palermo – riferisce Riina al suo compagno di ora d’aria – per distruggere la mafia ho detto: ‘prepariamoci’. Mettiamo tutti i ferramenti a posto, tutte le cose pronte per dargli il benvenuto”. “Lui – aggiunge – gli sembrava che veniva a trovare qua i terroristi. Gli ho detto: ‘Qua il culo glielo facciamo a cappello di prete'”. “Un generale di ferro dice che era”, continua. “S’è visto come era di ferro”, replica Lorusso. “Contro il terrorismo – prosegue – combinò poco… lo potevano pure ammazzare i terroristi”. “L’intenzione l’avevano – risponde il pugliese – ma non furono capaci”.

Poi, Riina ricorda gli appostamenti fatti per organizzare l’attentato a Dalla Chiesa: “Devi cercarlo – spiega – devi andare pure dentro la caserma”. Infine, le fasi dell’agguato: “Perciò appena è uscito lui con sua moglie … lo abbiamo seguito a distanza… tun … tun …. Potevo farlo là, per essere più spettacolare nell’albergo, però queste cose a me mi danno fastidio. Era più pulito cosi… là in questo albergo… a mare. C’era un po’ di eleganza un poco di gente ricchi perciò potevano succedere anche altri morti, potevano succedere succedere”. In un altro passaggio aggiunge ulteriori particolari: “A primo colpo, a primo colpo abbiamo fatto… a primo colpo ci siamo andati noialtri… eravamo qualche sette, otto… di quelli terribili … eravamo terribili. Nel frattempo… altri due o tre… lui era morto ma pure che era morto gli abbiamo sparato… appena è uscito…là dove stava… ta… ta…  ta … ed è morto docu”. Il boss corleonese riferisce pure il disappunto di uno dei killer del commando, Pino Greco, soprannominato Scarpuzzedda. Arrivò in ritardo e si rammaricò di avere potuto sparare per primo. “Lui era un ritardatario – dice – e non si dava pace”.

Cento giorno dopo assere giunto a Palermo il prefetto cadeva sotto i colpi di kalashnikov di un commando mafioso. Era la sera del 3 settembre 1982. Assieme a Dalla Chiesa c’era la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo.

E sono sempre le parole di Riina ad alimentare il mistero a trentadue anni di distanza dall’eccidio: “Questo Dalla Chiesa ci sono andati a trovarlo e gli hanno aperto la cassaforte e gli hanno tolto la chiave. I documenti dalla cassaforte e glieli hanno fottuti…”. “Minchia il figlio faceva … il folle. Perché dice c’erano cose scritte”, continua Riina nella conversazione intercettata a Opera il 29 agosto del 2013. “Ma pure a Dalla Chiesa gli hanno portato i documenti dalla cassaforte?”, chiede Lorusso. “Sì, sì – risponde il boss che poi accenna alla cassaforte del suo ultimo covo, sostenendo che fosse priva di documenti – Li tenevo in testa”. “Loro – continua, tornando a Dalla Chiesa – quando fu di questo … di Dalla Chiesa … gliel’hanno fatta, gliel’hanno aperta, gliel’hanno aperta la cassaforte … tutte cose gli hanno preso”.


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