Morti sul lavoro, cosa rischiano padroni di casa e amministratori

Morti sul lavoro, le colpe dei padroni di casa e degli amministratori

Troppo volte non si rispettano le regole
L'OPINIONE
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Non passa giorno senza che le cronache registrino l’ennesimo incidente sul lavoro. Il più impressionante, per il numero delle vittime e per la sua dinamica, è quello che una decina di giorni fa ha provocato la morte di sette lavoratori, impegnati nella manutenzione della centrale Enel di Bargi.

Una vera e propria strage, in realtà, che si aggiunge allo stillicidio delle “morti bianche”: basta fare una ricerca e ci accorgiamo che la frequenza degli incidenti mortali sul lavoro è praticamente quotidiana.

Secondo la legge, il primo responsabile per l’incidente sul lavoro dal quale siano derivate la morte o le lesioni personali del dipendente è il datore di lavoro. Il Testo Unico 81/2008 – un capolavoro di intrecci e contorsioni sintattiche – contiene minuziose norme che individuano gli altri corresponsabili.

Ma a parte le varie figure per così dire “istituzionali” all’interno di un cantiere (il responsabile per la sicurezza, il direttore dei lavori, eccetera), ce n’è una che non deve essere ignorata: il committente. Cioè la persona che affida il lavoro alla ditta che dovrà eseguirlo.

In tempi di 110 per cento, con migliaia di villette e condomini ingabbiati nei ponteggi per il rifacimento di facciate e infissi, il committente sarà l’amministratore di condominio o, più semplicemente, il padrone di casa. Il rischio concreto, nel caso in cui qualcuno degli operai dovesse subire un incidente, è quello di essere considerato corresponsabile rispetto al datore di lavoro di lesioni oppure omicidio colposo in concorso.

Le aule di giustizia sono piene di processi per imputazioni di questo genere: e anche la corte di cassazione ha più volte ribadito che il committente può rispondere della morte o delle lesioni del lavoratore.

Vediamo, però, quali sono i più comuni presupposti ai quali viene agganciata la “colpa” del committente, e che bastano per rimproverargli di non avere impedito il verificarsi dell’evento lesivo o mortale. La scelta della ditta esecutrice dei lavori, innanzitutto: dovrà essere “in regola” e idonea allo svolgimento di quel determinato intervento manutentivo.

Specialmente se si tratta di lavorazioni importanti o che prevedano rischi particolari (ad esempio: lavori da svolgersi ad una certa altezza dal suolo) sarà buona norma evitare di rivolgersi alle solite coppie formate da “mastro & picciotto”, che a loro volta si portano dietro operai improvvisati o inesperti, reclutati alla bisogna e magari soltanto per un giorno o due.

Conferire l’incarico alla ditta con un contratto scritto, e pagare con mezzi tracciabili è il primo passo che ogni committente deve compiere per mettersi al riparo dal rimprovero di avere scelto maestranze inadeguate rispetto al lavoro da svolgere.

Altra accortezza è quella di nominare un direttore dei lavori che abbia la qualifica necessaria per svolgere questa delicata funzione: un tecnico esperto, in possesso delle necessarie competenze, è senza dubbio un ulteriore ostacolo ad un futuro rimprovero. Infine, e a costo di sembrare banali: è necessario che il committente non si disinteressi del cantiere.

Una bella visita a sorpresa durante le lavorazioni, oltre a evitare che le maestranze facciano di testa propria (cosa che si verifica puntualmente in qualsiasi tipo di lavoro), sarà un’occasione per dare un colpo d’occhio al rispetto delle più elementari e intuitive norme di sicurezza: la vista dell’operaio che lavora in quota senza indossare il casco o le imbracature può bastare per fare un richiamo scritto o, nella peggiore delle ipotesi, per cambiare ditta.

Del resto, sempre la cassazione ci ricorda che l’immediata percepibilità delle situazioni di pericolo deve far scattare il tempestivo intervento proprio del committente. Altrimenti la sua sorte sarà quella, poco onorevole, di essere considerato responsabile dell’incidente insieme al datore di lavoro. 


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