PALERMO – Resta solo Matteo Messina Denaro. È lui l’ultimo corleonese, vivo e in fuga. Un fantasma per via della sua latitanza, ma pure della sua assenza. Sembra indaffarato a scappare, piuttosto che a badare alle cose di Cosa nostra. Riina è morto sepolto in carcere. È il destino comune a tutti corleonesi.
“Correte, correte”, urlavano nel carcere di Nuoro. Luciano Liggio aveva le pupille dilatate. Infarto. Era il novembre del 1993. Lucianeddu, colui che diede vita al gruppo dei corleonesi, uscì dal carcere dentro una cassa da morto. La caricarono su un volo Alitalia con destinazione “cimitero di Corleone”. Gli ultimi vent’anni li aveva trascorsi in una cella minuscola.
È la sorte dei corleonesi, usciti vittoriosi dalla guerra di mafia degli anni Ottanta. Vincenti prima, perdenti poi. È andata meglio solo a chi si è fatto pentito. Per tutti gli altri sempre e solo carcere duro. A cominciare da Binu Provenzano, e dagli alleati dei corleonesi di Palermo e provincia.
Michele Greco, il papa di Croceverde Giardini, è morto in una clinica romana nel 2008. Dal carcere di Rebibbia in un letto di ospedale. Peppino Farinella, boss stragista di San mauro Castelverde, è morto lo scorso settembre in ospedale a Parma.
Tutti gli altri hanno la certezza che non saranno più al comando perché deceduti o detenuti all’ergastolo: Ciccio Madonia di Resuttana (morto), Nenè Geraci di Partinico (morto), Pippo Calò di Porta Nuova (ergastolo), Pietro Aglieri di Santa Maria di Gesù (ergastolo), Bernardo Brusca di San Giuseppe Jato (morto), Leonardo Greco di Bagheria (ergastolo), Raffaele Ganci della Noce (ergastolo), Nino Rotolo di Pagliarelli (ergastolo), Mariano Agate di Mazara del Vallo (deceduto), Vincenzo Virga di Trapani (ergastolo), Nitto Santapaola di Catania (ergastolo).