Ucciso da una palma, familiari devono pagare le spese legali - Live Sicilia

Ucciso da una palma, familiari devono pagare le spese legali

La tragica storia di Claudio Anastasi, morto ad Acitrezza nel 2013 a causa della caduta della cima dell'albero.

CATANIA – “Di solito, quando mio padre suonava, io c’ero sempre. Quella sera, purtroppo, no. Quando è successo mi hanno chiamato subito”. Il 29 giugno 2013, Claudio Anastasi stava suonando a Villa Fortuna, ad Acitrezza, frazione marinara di Aci Castello, quando gli è caduta addosso la cima di una palma, uccidendolo. Aveva 58 anni, si stava esibendo a una serata a cui era stato invitato dalla Pro Loco del Comune di Aci Castello. La procura di Catania ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo, che si è conclusa con un’archiviazione. Ma Daniele Anastasi e suo fratello, i figli della vittima, non si sono dati per vinti e hanno fatto causa al Comune di Aci Castello, in sede civile, affinché su quella morte non calasse il sipario. Ma sono stati condannati in primo grado al pagamento delle spese legali: oltre 20mila euro da versare in favore del municipio castellese. “Ho perso mio padre – continua Anastasi – E adesso mi sento preso in giro. Mio figlio, che porta il nome di mio padre, è nato due mesi dopo la tragedia e non ha mai conosciuto il nonno: è assurdo che a pagare dobbiamo essere noi”.

Il crollo della palma

Villa Fortuna è un edificio pubblico del Comune di Aci Castello. Si trova proprio di fronte ai faraglioni e quella sera, nel 2013, stava ospitando una serata musicale. Uno degli artisti chiamati a esibirsi, suonando al pianoforte all’ombra delle palme del giardino, era Claudio Anastasi. Le cronache dell’epoca parlano di una violenta raffica di vento, che avrebbe portato la cima della palma a staccarsi e a crollare. Proprio addosso ad Anastasi. L’albero, però, non era sano: era una palma ammalata, come tante ne sono state raccontate in questi anni. Ed è sulla presunta “omessa vigilanza” del Comune sullo stato della pianta che si basa la causa della famiglia Anastasi nei confronti dell’amministrazione. Persa in primo grado, e adesso in attesa di essere chiarita anche in secondo grado.

La storia si ricostruisce attraverso sentenze, consulenze e ricorsi. Il primo passaggio è la richiesta di archiviazione della procura di Catania, motivata dal fatto che “il sinistro non poteva essere previsto“. “Nel punto di rottura e nelle zone adiacenti – si legge – la corteccia si presentava apparentemente sana, nonostante la malattia da cui era affetta la palma”.

La consulenza

La magistratura si era affidata alla consulenza del professore Giancarlo Polizzi, ordinario di Patologia vegetale all’università di Catania. È a lui a scrivere, nella sua consulenza, che lo “stipite della palma” (cioè il tronco) era dritto fino a 7,22 metri di altezza e che, a partire da 1,35 metri dal punto di rottura (a quasi sei mesi di altezza) “presentava una curvatura a S“, più qualche restringimento e una corteccia lievemente fessurata (un centimetro di altezza e venti di larghezza). All’esame più approfondito, però, il professore Polizzi nota che i “sintomi di marciume interno, procedendo dall’alto verso il basso, aumentavano gradatamente fino a interessare la quasi totalità della zona interna dello stipite in prossimità del punto di rottura”. In altri termini, per il consulente: la palma era marcia dentro, contaminata da un fungo (niente a che vedere con il celeberrimo punteruolo rosso), ma sana all’esterno.

“Su altre specie di palme – continua Polizzi – il patogeno può determinare un sintomo visibile all’esterno. Sulla palma da dattero, invece, non sono noti sintomi visibili dall’esterno che precedono il collasso”. Non il tronco curvato a S (“che potrebbe anche considerarsi come un elemento di pregio“, scrive il consulente) e neanche i restringimenti. Questi ultimi sarebbero sì “punti di debolezza strutturale“, ma poiché la palma non si è rotta in loro corrispondenza allora “non vi è alcuna correlazione tra lo schianto e la curvatura e i restringimenti rilevati”.

I controlli del Comune

È lo stesso consulente, però, a rilevare che sulle piante di Villa Fortuna l’amministrazione comunale castellese non aveva fatto granché, segnalando due soli interventi: uno nel 2011 “riportato con la voce generica pulizia palme”, e uno nel 2012 indicato come “smaltimento rami di palme”. “Nessuna azione – prosegue Polizzi – si evince relativamente a interventi di carattere preventivo rivolti alla verifica della stabilità delle piante […] In merito a tale problematica, il Comune sembra non avere intrapreso alcuna iniziativa prima dell’evento infausto del 29 giugno 2013“. Nonostante questo, però, l’esperto è chiaro: solo strumenti diagnostici invasivi, e potenzialmente dannosi per la pianta, avrebbero potuto rendere chiara la malattia della palma.

Eppure qualcuno se n’era accorto. Agli atti del processo c’è una diffida datata 15 novembre 2007 e firmata dall’amministratore di un locale adiacente a Villa Fortuna. L’uomo denunciava, in una raccomandata indirizzata al sindaco del Comune di Aci Castello e all’ufficio Ecologia, “il pericolo esistente nel terreno di Villa Fortuna, dove si trova una palma infetta e secca“. Lo stesso titolare dell’esercizio commerciale, sentito dai magistrati, ha poi precisato che la palma di cui parlava era proprio quella caduta la sera del 29 giugno 2013. Cioè sette anni dopo la sua segnalazione all’amministrazione castellese.

Per il giudice civile, però, “qualora gli esperti incaricati del Comune si fossero recati sui luoghi per controllare la palma segnalata (cosa che non è avvenuta), non si sarebbero comunque accorti di alcuna infezione”. Il crollo, per il municipio castellese, sarebbe stato un “caso fortuito“, dovuto anche al forte vento di quella sera.

La sentenza di primo grado e l’Appello

Per il giudice civile di primo grado, “non si ritiene ravvisabile una responsabilità del Comune di Aci Castello”. Tutta sfortuna, quindi. Motivo per il quale viene rigettata la richiesta di risarcimento dei danni avanzata dalla famiglia Anastasi, che viene anche condannata al pagamento delle spese legali per un totale di 20mila euro.

I familiari della vittima, però, non ci stanno e fanno ricorso in Appello. La prossima udienza è fissata per oggi, 23 settembre. Nel documento firmato dagli avvocati Alfredo Gambuzza e Sebastiano Sapuppo, che difendono i figli della vittima, vengono contestate le conclusioni della perizia di Polizzi, documento chiave sia per l’archiviazione della procura della Repubblica sia per il giudice civile.

“Lo scrivente – si legge nell’Appello – non può esimersi dallo specificare come artatamente sia stata indirizzata la perizia verso una conclusione del tutto illogica“. Per gli avvocati di parte, era già “motivo di preoccupazione” la nomina del consulente, nei confronti del quale era stata fatta “istanza di ricusazione, per avere avuto notizia della nomina dello stesso professore Polizzi quale consulente di parte del Comune di Aci Castello”.

Secondo i legali, sarebbe bastato il controllo della palma da parte di un esperto e l’utilizzo di uno strumento come il “martello di gomma” che “con un semplice ticchettio nelle varie parti del tronco, porta ad individuazione di marciume interno e/o alterazioni della struttura stessa della pianta”. A cui poi l’eventuale esperto consultato dal Comune avrebbe dovuto sommare l’analisi di una serie di altre caratteristiche della pianta. “Quale sarebbe stato il risultato di tutte queste indagini?”, domandano gli avvocati.

Sono sempre i legali, poi, a citare una pubblicazione del professore Polizzi a proposito dell’utilizzo di uno strumento chiamato tomografo. “L’esame strumentale con tomografia ha consentito di mettere in evidenza anche modesti fenomeni di destrutturazione interna […] confermati dall’isolamento del fungo su campioni di tessuto prelevati successivamente”, è la citazione di Polizzi riportata dagli avvocati Gambuzza e Sapuppo. In altri termini: secondo i difensori della famiglia Anastasi, c’erano dei modi per scoprire in tempo la malattia della pianta, prendere provvedimenti ed evitare lo schianto della parte sommitale sul suolo di Villa Fortuna. Fatto, questo, che riporterebbe in campo la responsabilità civile del Comune di Aci Castello a proposito della morte di Claudio Anastasi durante la sua esibizione musicale.

“Una tragedia familiare”

“Tutta questa storia è una ferita continua“, racconta a LiveSicilia Daniele Anastasi. “Ho riconosciuto mio padre dalle mani, mentre era ancora a terra ed era chiaro che non ci fosse più nulla da fare – aggiunge – Pensavo solo che non fosse possibile”. I ricordi di quella sera poi si fanno annebbiati e al dolore si aggiungono le delusioni: “L’inchiesta della procura che viene archiviata, la sentenza civile di primo grado, nel 2020, che ci condanna al pagamento delle spese, la sensazione di non riuscire ad avere giustizia…”.

E, più di tutto, la sensazione che “mio padre si potesse salvare: il Comune è poi intervenuto su altre palme. Hanno sistemato delle corde intorno ai tronchi, hanno fissato le parti sommitali in modo che non potessero crollare al suolo. Bastavano cinque euro di corde per salvare la vita a mio padre? – aggiunge Anastasi – Il futuro della nostra famiglia è stato distrutto quella sera e la giustizia appare così lontana da un cittadino che non ha fatto nulla di male: mio padre era lì per allietare la serata di altri”.

Il processo civile di secondo grado dovrebbe chiudersi a breve. E, se confermata la sentenza di primo grado, il costo a carico della famiglia rischia di essere ancora più oneroso dei 20mila euro già previsti. “In macchina conservo ancora l’ultimo cd inciso da mio padre. Sono cover dei Pooh, lui ne era un grande fan – conclude – Avevamo una piccola società di organizzazione di eventi musicali, che poi abbiamo chiuso. Io mi occupavo della sicurezza. È ironico che ai concerti che organizzavamo noi non si è mai fatto male nessuno. E l’unico incidente del quale siamo stati testimoni è stato quello che lo ha ucciso”.

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