PALERMO – Un passante a passeggio fra via Cesareo e via Leopardi, a pochi metri da villa Sperlinga, in un frizzante pomeriggio di gennaio osserva sei persone intorno ad un palo della luce. Stanno appendendo un piccolo gonfalone, giusto sotto gli annunci immobiliari. “Giuseppe Insalaco. Sindaco di Palermo”, e in primo piano una foto in bianco e nero. Il passante sospetta possa trattarsi di campagna elettorale, ma la moglie lo rassicura: “Il sindaco lo abbiamo eletto da poco”.
Giuseppe Insalaco è stato sindaco di Palermo per tre poco più di tre mesi: dall’aprile all’agosto dell’84. È stato anche deputato, assessore e consigliere del ministro Franco Restivo. La sua storia non è molto nota a coloro i quali non sono stati suoi coetanei. La sua morte invece è stata derubricata sbrigativamente come omicidio di mafia. Se un coppia di passanti però passeggia fra via Cesareo e via Leopardi non trova nemmeno una targa che ricordi come la sera del 12 gennaio 1988 Insalaco venne ucciso mentre guidava la sua auto.
Ricorre oggi il venticinquennale dalla morte del sindaco democristiano che restò a Palazzo delle Aquile meno di cento giorni. Un quarto di secolo, in cui le istituzioni non lo hanno celebrato. “Lo scorso anno venne l’assessore Grisafi, ma siamo stati noi ad organizzare la commemorazione”, dice il figlio Luca. A ricordare l’ex sindaco ucciso dai killer Domenico Ganci e Domenico Guglielmini ci sono i due figlie ed un pugno di amici, fra cui l’ex assessore regionale Alessandro Aricò. La commemorazione nasce su Facebook, grazie all’impegno di Sergio Ruffino.
“Apprezzo questa manifestazione d’affetto – dice Luca Insalaco –, anche se qualora fosse dipeso da me non avrei tenuto nessuna commemorazione. L’augurio è di trovare qui il prossimo anno almeno una targa”. La sorella Ernesta è più schiva, tiene per le mani i figli e dopo la breve commemorazione si allontana. “All’inizio avevo chiesto l’intitolazione di una piazza, di una via, ora chiedo una targa. Il prossimo anno magari mi ridurrò a chiedere un etichetta”, afferma amaramente Luca Insalaco, che all’epoca dell’omicidio aveva 11 anni.
“Non voglio fare una guerra, perché non credo sia giusto speculare sulla memoria di mio padre. Ai miei figli racconterò cosa ha fatto mio padre. Una sentenza ha riconosciuto che sono la mia famiglia è vittima di mafia, l’impressione è però che la città non voglia ricordare”.