PALERMO – Più di una settimana dopo le elezioni regionali, ancora in attesa di conoscere il responso su “impresentabili” e affini, la presidentessa della commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi spiega che “il problema vero” di queste elezioni sicule sono stati i “prestanome”. Ossia i “figli di” e i “parenti di” candidati per prendersi i voti di qualcun altro.
Bindi ha parlato del tema “figli di” ieri sera su Rai Tre a Cartabianca, ospite di Bianca Berlinguer, figlia di Enrico. L’agenzia Ansa riporta il suo testuale a proposito della Sicilia: “Nessun candidato presidente in Sicilia aveva dei problemi. Stiamo finendo il lavoro di controllo sulle liste, non abbiamo ancora terminato. Non ci sono casi rilevabili dai certificati giudiziari che abbiano particolari problemi, il problema vero è che in queste elezioni in Sicilia ci sono stati dei prestanome, ‘figli di’, ‘parenti di’. La responsabilità vera è delle forze politiche ma anche dagli elettori”.
Bindi non fa nomi. Anche se certo, quasi per un riflesso, alla luce del lungo dibattito sul tema, il pensiero va al caso di Luigi Genovese, il ventunenne figlio di Francantonio, che a Messina con Forza Italia ha raccolto più diciassettemila preferenze. Farina del suo sacco o eredità del consenso paterno, costruito ai tempi anche grazie allo scempio di ingente somme di denaro pubblico, almeno secondo i magistrati che condannarono Francantonio in primo grado a undici anni per il caso dei “corsi d’oro” della formazione professionale?
Il problema del familismo di quella politica che tiene famiglia e manda avanti eredi e parentame vario per conservare la poltrona è invero una questione seria. Impresentabili o meno. L’impossibilità di candidarsi in prima persona a volte può derivare non da grane giudiziarie ma, ad esempio, da regole di partito come quelle del Pd che impongono un limite di mandati.
A novembre del 2017 Rosy Bindi lo mette a fuoco. Quasi agli sgoccioli di una legislatura da lei trascorsa nel gruppo del suo Partito democratico. Nei banchi in cui siede, per dire, Daniela Cardinale, figlia dell’ex ministro Salvatore, piazzata nella lista bloccata dei Dem due giri fa grazie ai buoni uffici paterni, alla tenera età di 26 anni. Qui il tema degli impresentabili non c’entra, sia chiaro. Ma forse quello del mandare avanti i giovanissimi “figli di” per conto terzi sì. Cardinale è stata una deputata molto attiva in queste due legislature, Bindi dovrà averla notata qualche volta. Come forse avrà incrociato Marietta Tidei: era impiegata, nel 2013 è stata eletta deputata in Lazio, erede politica del padre Pietro, ex deputato dem che non ha potuto ricandidarsi perché impegnato a fare il sindaco di Civitavecchia. E di certo Bindi conoscerà Monica Cirinnà, mamma della legge sulle unioni civili, ma anche – oltre che ex consigliere comunale a Roma – moglie di Esterino Montino, ex capogruppo del Pd al consiglio regionale del Lazio, rinviato a giudizio un mese e mezzo fa insieme ad altri colleghi per la vicenda delle spese pazze dei consiglieri (ricordate la storia di Batman Fiorito?). Con lui va a processo anche Claudio Mancini, altro ex consigliere Pd che ha passato il testimone alla consorte, Fabrizia Giuliani, paracadutata alle ultime Politiche dal Lazio alla Lombardia dal Pd, con tanto di polemiche. Passò dei guai giudiziari ma per accuse ingiuste, e uscì lindo dai processi, Franco Covello, “il Kennedy della Calabria”, senatore democristiano di lunghissimo corso che ha tramandato lo scranno alla figlia Stefania, già consigliere regionale in Calabria e in questa legislatura parlamentare dem. Tutte elette nelle liste bloccate del Pd allo scorso giro. Probabilmente per loro Bindi non userebbe l’espressione “prestanome” e anche noi, ci mancherebbe, ci guardiamo bene dal farlo. Solo annotiamo, a margine, che quando quelle liste Dem furono presentate, il presidente del Partito democratico era un politico esperto e attento, l’attuale presidente dell’Antimafia Rosaria “Rosy” Bindi.