Niceta e gli "affari con la mafia" | Restituita una parte dei beni - Live Sicilia

Niceta e gli “affari con la mafia” | Restituita una parte dei beni

Si tratta di un negozio a Castelvetrano. Confisca per Guttadauro. La partita decisiva si gioca a Palermo.

Misure di prevenzione
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PALERMO – Regge la ricostruzione dell’accusa per Francesco Guttadauro, considerato socialmente pericoloso, ma non per Massimo Niceta. Per il primo scatta la sorveglianza speciale per quattro anni e la confisca del 50 per cento della società che gestiva un punto vendita, ormai chiuso, all’interno del centro commerciale Belicittà di Castelvetrano. Al secondo, invece, viene restituita la restante metà della stessa società.

Sono i risultati della decisione a cui è giunta la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani, presieduta da Piero Grillo. Ci vorrà ancora qualche giorno per avere un quadro completo le motivazione. “Non è stata considerata un’impresa mafiosa – spiega il legale dei Niceta, l’avvocato Roberto Tricoli – altrimenti avrebbero confiscato l’intero capitale sociale. Potrebbe essere un provvedimento con delle ricadute positive anche nel procedimento in corso a Palermo”. In realtà potrebbe essere il contrario, visto che il Collegio trapanese ha di fatto sancito che ci fosse una società e interessi comuni fra i Niceta e i Guttadauro. Solo che ha affidato per competenza la valutazione della posizione degli imprenditori ai giudici palermitani che affrontano il capitolo più grosso degli affari. Una situazione, dunque, in standby.

Quello andato in decisione è, infatti, il primo troncone che riguarda gli imprenditori Niceta, titolari di una serie di negozi di abbigliamento passati in amministrazione giudiziaria. I sequestri sono stati due: uno proposto dal questore di Trapani e accolto dal collegio presieduto da Grillo e il secondo frutto della indagini della Procura di Palermo e deciso dalle Misure di prevenzione palermitane quando presidente era Silvana Saguto, oggi indagata e sospesa dal Csm.

Nel provvedimento di sequestro eseguito a Trapani erano inseriti i negozi “Blue Spirit” e “Niceta Oggi” all’interno di Belicittà. Secondo l’accusa, i Niceta avrebbero fatto da paravento al boss Filippo Guttadauro per consentirgli di aprire i due negozi, da affidare ai figli, ed evitare la mannaia del sequestro.

Filippo Guttadauro, finito in carcere con l’accusa di essere l’ambasciatore del cognato Matteo Messina Denaro nei rapporti con Bernardo Provenzano, era stato intercettato in carcere mentre chiedeva alla moglie Rosalia, sorella del latitante, e al figlio notizie sull’apertura di un’attività commerciale. Fu Francesco Guttadauro ad inviare un sms a Massimo Niceta: “ciao Massimo, sono Francesco Guttadauro. Io domani devo scendere a Castelvetrano x sbrigarmi cose mie. Ci vediamo direttamente la x le 11.00 la ok?”. Risposta: “ Ok… ti chiamo quando arrivo…”.

L’incontro sarebbe avvenuto al bar dell’area di servizio poco dopo lo svincolo di Castelvetrano dell’autostrada A29. Un mese dopo Francesco Guttadauro spiegava alla madre Rosalia Messina Denaro che “…infatti la prossima settimana ci debbo scendere, con quelli del negozio… perché loro ne hanno altri progetti di fare centri commerciali”. Sempre intercettato in carcere Filippo Guttadauro spiegava al figlio che doveva fare lavorare anche la sorella Maria: “…ma tu intanto…intanto tu già anno nuovo non anno nuovo in quei due tre mesi li ti dai una mezza impraticata Francesco ti inquadri tutto il lavoro e se tua sorella ti deve dare una mano di aiuto il pomeriggio…”. Il primo giorno di novembre 2007 nello studio di un notaio di Castelvetrano nasceva la società Nica, con amministratore unico Massimo Niceta. Fu lui a prendere in affitto i due negozi nel centro commerciale.

Ora i giudici sequestrano il 50 per cento delle Nica riconducibile ai Guttadauro, ma restituiscono la parte di Massimo Niceta. Restituito del tutto, invece, un negozio a Borgetto, sempre della Nica. In questo caso la motivazione è chiara visto che i giudici escludono che ci sia stata la “longa manus” di Guttadauro.

Fin qui il capitolo trapanese che, dal punto di vista patrimoniale, costituisce una piccolissima parte del patrimonio. A Palermo si gioca la partita giudiziaria più grossa che riguarda beni per 50 milioni sequestrarti ai figli di Mario Niceta (oggi deceduto): Massimo, Piero e Olimpia. La proposta di confisca avanzata dalla Procura e al vaglio del nuovo collegio presieduto da Giacomo Montalbano comprende anche un pizzino in cui Matteo Messina Denaro scriveva al boss di San Lorenzo, Salvatore Lo Piccolo, per ringraziarlo di una vicenda che riguardava il “mio amico Massimo n.”. Gli investigatori all’inizio individuarono “Massimo n” in Massimo Niceta anche se successivamente dissero che non c’era certezza alcuna sull”identificazione e neppure sull’autore. Nel 2009 il pentito Angelo Siino ribadì quanto già detto nel 1998 e cioè che “Mario Niceta era prestanome di Giuseppe Abbate, capo della famiglia mafiosa di Roccella, a quel tempo detenuto e che svolgeva tali compiti di interposizione fittizia in ragione della ingenti disponibilità patrimoniali”. Il rapporto fra i due sarebbe nato quando l’imprenditore, allora impegnato nel settore del calcestruzzo, era andato a chiedergli protezione per non pagare il pizzo. Nello stesso anno, anche Massimo Ciancimino tirò in ballo il vecchio Niceta. Il figlio di don Vito raccontò addirittura di averlo visto tra i presenti a una riunione organizzata nei primi anni Ottanta in una villa di fronte l’Hotel Zagarella. C’erano Vito Ciancimino, Bernardo Provenzano, Pino Lipari Tommaso Cannella e pure Mario Niceta. Nel 2009 quando vennero fuori le carte del blitz Golem, Massimo e Piero Niceta ricevettero un avviso di garanzia per intestazione fittizia di beni. Inchiesta che è stata poi archiviata.

E così nel dicembre 2013 scattò il maxi sequestro che comprendeva, oltre a immobili e conti correnti, anche le società che gestivano una serie di negozi in via Roma, corso Camillo Finocchiaro Aprile, viale Strasburgo e via Ruggero Settimo con il marchio Olimpia. I negozi sono passati in amministrazione giudiziaria. Una gestione quella dell’avvocato Aulo Gigante contestatissima dagli stessi titolari. Tredici negozi, nel frattempo, hanno chiuso e decine di dipendenti hanno perso il lavoro.

 


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