Sì, ma i morti? Ve ne sarete accorti, no? A Messina ci sono i morti. Ci sono corpi disseccati nel fango. Ci sono famiglie che piangono per un lutto irreparabile. Chi si occupa dei morti? Chi consola il dolore? Chi prova a trattare le persone per quello che sono: cittadini italiani, esseri umani. Cosa resterà di tutti loro quando gli inviati torneranno a casa? Invece, in questa atroce storia di alluvioni e omissioni, gli uomini e le mutilazioni che hanno subito sembrano quasi un fatto incidentale, una parentesi tra le polemiche, il rimpallo di responsabilità, e il ping pong sull’affascinante tema è-colpa-tua-no-tua.
E c’è un sentimento sconcio che vediamo aleggiare dietro le parole, di cui avvertiamo il lezzo insostenibile. E’ talmente sconcio che nessuno ha il coraggio di tirarlo fuori. Però la puzza si sente, a naso nudo. Quale sentimento-pensiero? Semplice, l’idea carsica che in fondo questa sciagura sia ben meritata, che sia un monito celeste contro l’abusivismo, contro i lasciapassare edilizi, contro le casette costruite sul greto di fiumi impetuosi. Eppure, i molti illustri signori commissari che concionano contro le irregolarità dovrebbero ricordare una chiara verità: tocca alle istituzioni vigilare sulle illegalità. Sono le istituzioni che, spesso, hanno rilasciato tutti documenti necessari per opere edilizie improponibili. Sono i commendatori delle istituzioni che hanno pascolato nei campi del malaffare e in mezzo c’erano cittadini, più spesso inermi, o talvolta collusi, comunque meno responsabili. La politica italiana, genericamente intesa, non può stracciarsi le vesti da educanda per gli errori che ha partorito. Giusto accertare le responsabilità. Giuste perfino le parole di rabbia, quando provengono da una opinione pubblica avvertita e non condotta al macello ideologico sul filo dell’emozione a cadavere caldo. Ma ancora più giusto rammentare che ci sono i morti da seppellire e che, contemporaneamente allo sdegno, è possibile esercitare il rito laico e cristiano della pietà. E poi ci sono i vivi che piangono, perchè hanno paura della solitudine e dell’abbandono. Figli di un lutto minore. Nipoti di un’Italia peggiore.
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