PALERMO – E come accade per tutti i migliori spettacoli pirotecnici, gli ultimi giorni del Crocettismo riservarono una fragorosa “masculiata”. Così nel dialetto nostrano si appella il gran finale dei fuochi d’artificio, con una sequenza impazzita di botti. Come quella che Rosario Crocetta sta scatenando in queste ultime settimane sull’unico fronte in cui la sua stagione di governo è stata da sempre attivissima, quello delle nomine.
I botti di fine impero degli ultimi giorni sono solo il gran finale di uno show cominciato già agli albori della “rivoluzione” crocettiana. Nel quinquennio dei pastrocchi e del continuo impantanarsi del Palazzo, la contradanza delle nomine – come la definimmo tre anni fa – è stata una costante. Un leit motiv che il nostro giornale ha denunciato per anni, raccontando con centinaia di articoli l’occupazione sistematica del potere a cui Crocetta e la sua conventicola si sono dedicati con infaticabile dedizione, dal primo all’ultimo giorno di questo lustro.
La politica siciliana non è certo un collegio di verginelle, e la spartizione di posti e strapuntini è sempre stata in fondo il principale sollazzo dei potenti isolani. L’era della “rivoluzione”, strombazzata all’alba della legislatura, avrebbe dovuto portare a un nuovo corso. Così non è stato. E i vizi del passato sono rimasti intatti, anzi, in queste ultime settimane di campagna elettorale si stanno manifestando con più sfrontatezza di prima, con la Regione munta come una vacca – l’immagine è quella proposta in questi giorni da Claudio Fava – per raggranellare qualche voto.
Le nomine e le promozioni elettorali raccontate negli ultimi giorni, dicevamo, sono solo l’ultimo capitolo. Di una storia che comincia molto presto. L’archivio di Livesicilia aiuta a ricostruirla. Già a fine agosto 2013, il nostro giornale proponeva la contabilità delle nomine di Crocetta, un centinaio in dieci mesi. Altro che spoils system. Ma era solo l’antipasto quello.
Da allora, le nomine sono state il motore pressoché unico dei governi delle porte girevoli di Rosario Crocetta. A partire dalle nomine degli assessori, si va per i cinquanta adesso, con la sostituzione di Carlo Vermiglio. Scendendo fino all’ultimo anfratto dello stipendificio regionale.
A settembre 2014 eravamo già arrivati a 150, una nomina ogni quattro giorni, calcolava il nostro Accursio Sabella. Ma quello della “quantità” è diventato col tempo un aspetto marginale nella telenovela del nominificio crocettiano. In cui fece presto irruzione il tema della qualità. Con lo sgranarsi di un rosario di pastrocchi su tutti i fronti. Sembra passata una vita, ad esempio dalla tormentata gestazione delle nomine della sanità. Erano i tempi di Lucia Borsellino e il parto dei manager fu travagliato. Con strascichi che si protrassero per un pezzo. Fatti di polemiche politiche, contestazioni sui titoli e sulle procedure, ma anche inquietanti retroscena emersi dalle cronache giudiziarie.
E poi gli innumerevoli inciampi con annessi gineprai di polemiche. Tano Grasso nominato a sua insaputa, anzi non nominato affatto, malgrado gli annunci, le controverse e contestatissime nomine all’Irsap, il grande caos delle nomine dei sovrintendenti ai Beni culturali, il flop delle nomine al Cga su cui intervenne il Tar del Lazio, le nomine dei revisori dei conti della Sanità bocciate dall’Ars e quelle dei manager stessi della Sanità, anche queste finite dentro qualche inchiesta, dentro qualche querelle giudiziaria, come nel caso dei manager catanesi per i quali, alla fine, deciderà il Tar. Fino allo sfrontato colpo di mano sull’aeroporto di Catania, con la nomina di Ornella Laneri che durò il tempo di un amen.
E’ stata la stagione delle nomine ma anche quella del così detto cerchio magico. Di quella cerchia di fedelissimi premiati con incarichi che in certi casi vedevano politica e burocrazia come vasi comunicanti, con consulenti che diventavano assessori ed ex assessori che tornavano come consulenti, da Mariella Lo Bello a Nelli Scilabra. Dei posti di sottogoverno spartiti ai fiori all’occhiello del momento, da Antonio Ingroia ad Antonio Fiumefreddo, con battage mediatico a corredo. E’ stato pure un tempo di naufragi, degli incaricati graditi ma senza titoli piazzati seppur per poco nei posti chiave. E’ stato anche il quinquennio dei commissari, strumento di controllo del potere di cui l’era del crocettismo ha fatto largo uso, a partire dalle sventurate Province, dove da anni ormai la democrazia è sospesa.
E’ stata una lunga, desolante stagione. Di capricci e agonia. Di sistematica, ingorda e sfrontata occupazione del potere slegata dai risultati. Che vi abbiamo raccontato giorno dopo giorno. E che fino alla fine continueremo a raccontare. La chiamavano rivoluzione.