Non è una punizione divina | Come la Sicilia può cambiare - Live Sicilia

Non è una punizione divina | Come la Sicilia può cambiare

Un bilancio sulla Sicilia e i siciliani e l'impegno personale per la buona politica.

SEMAFORO RUSSO
di
3 min di lettura

Giorni fa ho compiuto 60 anni, un traguardo che induce a delle riflessioni su se stessi, soprattutto se le vicende della vita qualche interrogativo te lo pongono. Pochi o molti che siano ho sempre pensato che sotto questo cielo siamo tutti contemporanei, con le ossa più o meno elastiche, con il respiro più o meno pesante ma comunque dentro la medesima barca che chiamiamo esistenza umana, e nessuno è escluso dal dovere di dare qualcosa di sé alla comunità finché il cuore batte.

Ho incontrato anziani agitati da uno spirito indomito da combattenti, da una passione civile commovente; al contempo, mi sono imbattuto in giovani divenuti troppo presto abili in miserabili furbizie, incapaci di offrire una positiva novità rispetto ai padri e ai nonni, di personificare, richiamando la banalità di una frase logora, la speranza di un futuro diverso.

Spegnendo le sessanta candeline (gli amici sono stati crudeli) sono andato indietro con la mente, quando già trentenne sono “entrato” in politica con l’entusiasmo di chi vuole cambiare il mondo. Fino ad allora ero stato impegnato nel volontariato e ritenevo che la politica fosse una faccia del volontariato; davvero uno stupido, in seguito ho capito a mie spese che non è affatto così per la maggioranza di chi ha avuto migliori fortune delle mie, per loro è un mestiere. In realtà, quando cominciai con la Rete fondata da Leoluca Orlando mi volevo “limitare” a rivoltare la Sicilia, liberandola dalla mafia e dalla cattiva politica. Non mi abituavo all’idea di dovere scontare una punizione divina che ci condanna in eterno al sottosviluppo e alla dittatura di sanguinari criminali. Forse ero rimasto ai fumetti che divoravo da bambino parteggiando per i buoni e gli onesti, o forse non mi bastava l’insegnamento cattolico della supremazia della Carità, non c’è vera carità senza giustizia ma solo un immenso castello di ipocrisia.

Non dimentico la rabbia interiore leggendo sui giornali le cronache di centinaia di delitti commessi nell’indifferenza generale durante l’ascesa dei “Corleonesi” o guardando film e sceneggiati in cui veniva rappresentato il patto scellerato tra Cosa Nostra e la politica con la complicità o il silenzio delle cosiddette persone perbene dei salotti eleganti di Palermo, imprenditori, magistrati, professionisti, vescovi e monsignori. Non mi volevo rassegnare alla rassegnazione, l’anticamera della morte dell’anima. Della Rete fui eletto coordinatore regionale, iniziarono anni entusiasmanti sostenuti del consenso popolare (sembrava impossibile immaginare i siciliani finalmente “ribelli”) ma assai difficili perché era l’epoca delle stragi di mafia e piene di inquisiti risultavano le istituzioni regionali.

Le cose sono andate come sappiamo, la Rete fu dichiarata defunta seppure ancora palpitante e gli effetti della sua azione politica, di rinnovamento della politica e contro boss, collusi, politicanti e faccendieri, si fa fatica a scorgerli negli avvenimenti successivi che hanno visto vertici istituzionali condannati per reati di mafia. Soprattutto, si fa fatica a scorgerli nelle condizioni di marginalità, economica e sociale, in cui si ritrova la Sicilia, terra martoriata da cui i nostri figli e nipoti fuggono esattamente al pari di prima. Saranno i sociologi e gli storici a definire oggettivamente limiti e pregi di quell’esperienza.

Oggi, da inguaribile retino pure nelle scelte politiche nel frattempo compiute, guardo pensieroso ai novelli rivoluzionari, all’esercito di eletti del Movimento 5 stelle (in Sicilia in verità non sterminato) augurandomi, al di là di ciò che abbiamo votato e delle opinioni personali al riguardo, che riescano a non deludere le attese, a incidere profondamente e in maniera duratura. Perché non basta riempire le piazze se non muta la cultura politica degli elettori, le piazze si riempiono e facilmente si svuotano. Questa è la vera sfida, la Sicilia non si salverà mai senza i siciliani.

E io? Sì, sono 60! bene, nessun problema, si ricomincia (si continua) a lottare per la buona politica e per il bene comune, con le ossa meno elastiche e il respiro un po’ pesante… finché il cuore batte.


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