"Non perdono Giacomo | Ma non cerco vendette" - Live Sicilia

“Non perdono Giacomo | Ma non cerco vendette”

Parla la madre del rapinatore ucciso
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“Non posso perdonare chi ha ucciso mio figlio ma dalla mia famiglia non avrà nulla da temere. Se la vedrà con Dio”. A parlare è Maria Cusumano, la madre di Renato Di Blasi, il rapinatore morto dopo la rapina del 6 settembre al centro scommesse Eurobet, al villaggio Santa Rosalia. Nello scontro con l’addetto alle pulizie, Giacomo Li Castri (nella foto con la moglie Lucia Viola), adesso indagato per omicidio volontario, Di Blasi riportò diversi traumi cranici. Inutile per lui l’intervento chirurgico d’urgenza. “Non si può perdonare chi ti strappa un figlio, noi siamo persone perbene, non vogliamo vendetta, può continuare a camminare tranquillamente per le strade del quartiere e dovunque voglia andare. Niente e nessuno può restituirmi mio figlio”.

“Non so perché mio figlio abbia agito così, lo so che ad un uomo di 50 anni i soldi non bastano mai ma io cercavo di non fargli mancare nulla. Lo campavo io. Gli lasciavo sempre i soldi dentro quel cassettino perché non aveva neanche il coraggio di chiedermeli”.
“Era un bravissimo ragazzo, questa famiglia la conosco da almeno mezzo secolo”, dice un’amica di famiglia che è andata a far visita a casa Di Blasi, al civico 25 di via Enrico Toti. I soldi Maria Cusumano glieli lasciava proprio lì, dentro quel cassettino di un mobile color noce con sopra una bella foto. Un’istantanea scattata per chissà quale ricorrenza quando Maria Cusumano poteva ancora abbracciare il marito morto 16 anni fa. Lui in giacca e cravatta, lei in abito da sera le passa il braccio intorno al collo. Brandelli di felicità.

“Mio marito era un dipendente del Ministero della Difesa, lavorava come impiegato civile presso la caserma Tukory. Io vivo grazie alla pensione di reversibilità e con quella cercavo di aiutare Renato che viveva con me”. Una stanza da pranzo con una tavola rotonda marrone scuro, una vetrina con dentro il servizio buono. La tenda verde separa il bagno dal resto della casa ma l’aria del lutto si respira entrando nell’ingresso, la porta d’ingresso socchiusa e silenzio, tantissimo silenzio. Dal terrazzino entra odore di cucinato, qualcuno bussa ad una finestra. É un ambulante: “Signora le uova fresche?”. “No grazie, se ne vada”.

Maria Cusumano non si dà pace, quando pensa al figlio morto afferra il prendisole nero con piccoli fiori e lo allontana con forza dal petto, un gesto per sublimare l’impossibilità di strapparsi il cuore.
“Io lo conoscevo Giacomo Li Castri, faceva le pulizie nel mio palazzo, poi ha deciso di non venire più perchè non sempre veniva pagato con puntualità. Eccome se lo conosco. Si è difeso, d’accordo, ma non c’era bisogno di ammazzarlo”.
Suo figlio era un uomo possente. “Era un pezzo d’uomo che non poteva finire mai, l’avrà colpito più volte. In ogni caso, io lo conosco ma non lo voglio finire di conoscere, né io né i miei figli. Siamo persone perbene, non vogliamo vendette, se la vedesse con Dio”. Usciamo dall’abitazione di via Enrico Toti, l’ultima immagine è la signora Maria appoggiata al girello, saluta con una mano come una bimba, poi indica la foto con il marito e sospira. Sotto gli zigomi la pelle è avvizzita dal tempo e annerita dalle lacrime. Lontani i tempi di quella felicità.


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